Joe Lovano & Greg Osby – Friendly Fire


Joe Lovano & Greg Osby – Friendly Fire

Il sodalizio artistico tra i due sassofonisti Joe Lovano e Greg Osby, sull’album del 1999 Friendly Fire, è uno degli eventi di un certo peso scaturiti dal 60° compleanno della storica etichetta Blue Note. Da una registrazione come questa si evince la differenza tra l’epoca del patron Alfred Lion e l’attuale gestione di Bruce Lundvall. Quello che una volta era un accadimento regolare, quasi ordinario, cioè la collaborazione di due o più musicisti di jazz, al giorno d’oggi è possibile solo attraverso la creazione di progetti speciali, legati quasi sempre ad eventi straordinari. Di sicuro, non sono certo Lovano e Osby una coppia di musicisti destinata a collaborare in modo stabile, tanto più per via dei loro temperamenti diversi e delle loro differenze stilistiche. Joe Lovano possiede un feeling hard bop sufficientemente radicato per dare corpo a produzioni mainstream ricche di pathos, inoltre è dotato di un’abilità particolare nel dare cuore e bellezza anche a composizioni di piccolo cabotaggio. Greg Osby è un musicista diverso, che ama vivere borderline le sue esperienza musicali, contaminando la sua matrice jazzistica post-bop con forme musicali moderne come l’hip-hop: la nostalgia non è certo parte integrante del suo bagaglio artistico. Ciò nonostante Lovano e Osby hanno fatto, su questo album, delle ottime scelte sia per quanto riguarda la scelta dei brani sia in riferimento alle loro performance. La band vede la collaborazione del pianista Jason Moran e l'abituale bassista di Lovano, Cameron Brown più la partecipazione del formidabile batterista Idris Muhammad: una combinazione di talenti che produce una chimica ricca di contrasti e confluenze sonore di grande fascino. La sezione ritmica composta da Brown e Muhammad si dimostra sempre in perfetta sintonia con l’agile tecnica pianistica di Moran. Il combo dei tre si muove con disinvoltura dentro il cuore delle composizioni pur senza trascurare l’esplorazione e l’improvvisazione. Jason Moran in particolare sembra avere una particolare sensibilità su quando e come restare un po’ in disparte per consentire a Brown di imbastire le sue precise linee di basso e magnificare al contempo la meravigliosa propulsività della batteria di Muhammad: entrambe possono così emergere in primo piano. Lo stesso Moran mette in evidenza un pianismo fluido e variegato, sempre molto interessante La formula di Firendly Fire è chiara: i due leader contribuiscono pariteticamente nel firmare i brani e nell’esecuzione degli stessi: l’alchimia tra i due funziona a meraviglia e capita di rado di ascoltare risultati di questo livello. Le tre composizioni scritte da Osby sono: "Geo Jlo", un coinvolgente tema ricco di frasi che ricordano Eric Dolphy a formare un affresco musicale effervescente. "Silenos" è invece una bellissima ballad, quasi sorprendente se si pensa alla musica solitamente offerta da Greg Osby. “Truth Be Told” infine mostra ancora un Osby diverso e quasi intimista. I contributi di Joe Lovano comprendono due lunghi pezzi: "Idris" è una composizione complessa ed articolata in cui Joe si esibisce anche al flauto con reminiscenze alla Steve Lacy.  "Alexander The Great", è costruita con uno stile hard bop pungente ed altamente energetico. Infine “The Wild East” che percorre ancora i sentieri del be bop in modo brillante. Il quintetto si cimenta poi in alcune cover, tre le quali c’è una interessante ripresa di "Serene" di Eric Dolphy, una nervosa e affascinante versione del "Broadway Blues" di Ornette Coleman, e un'eccellente versione della famosa "Monk's Mood" di “Thelonius Monk. La rivisitazione di questi classici non fa altro che arricchire il set proponendo alcuni brani di grande spessore molto ben eseguiti dalla band nel suo complesso. Traccia dopo la traccia, Lovano e Osby riaffermano costantemente le loro diverse personalità, ma attraverso i loro scintillanti scambi musicali vanno anche oltre i loro soliti elevati standard artistici. Quella tra Joe e Greg è un’accoppiata di talenti che avrebbe anche potuto avuto un potenziale a lungo termine, ma è figlia di una ricorrenza molto speciale come il 60° compleanno di un’etichetta storica come la Blue Note e proprio per questo unica. Il tempo ha dimostrato che è stata una bellissima eccezione e, in questi vent’anni, di fatto non si è ripetuta; per ascoltare i due sassofonisti suonare ancora insieme ci sono rimasti solo i concerti dal vivo. A testimoniare un ottimo momento creativo per entrambe i musicisti ci resta questo Friendly Fire: da una parte un paladino del post-bop, molto legato alla tradizione, dall’altra un esponente di rilievo della contaminazione con le forme artistiche più recenti. E’ solo un altro tassello nell’incredibile storia del jazz, ma è pur sempre un disco di valore.