Simon Phillips - Protocol 3



Simon Phillips - Protocol 3

Musicista professionista dall'età di 12 anni, il batterista Simon Phillips ha uno stile che è immediatamente riconoscibile. Ha suonato in tour e registrato con quasi tutti i principali artisti rock e pop, da Mick Jagger a The Who e Toto fino ai Judas Priest, Mike Oldfield o Joe Satriani. Un mostruoso performer da super-session, che ha partecipato anche ad innumerevoli  album di jazz e fusion ed a sessioni di progressive rock con gente meno conosciuta ma non per questo meno dotata. Come Duncan Browne, Gary Boyle, Phil Manzanera e Ray Russell. Ultimamente, ha maggiormente curato una crescente attenzione per la produzione, per l'ingegneria del suono, ed infine per una propria fiorente carriera da solista. Al momento i suoi album da leader (o co-leader) ammontano a nove, di cui due precedenti capitoli del Protocol (l'uno ed il due). Nonostante le centinaia di registrazioni in cui è stato protagonista, e le decine di musicisti incredibili con cui ha lavorato, la collaborazione di Phillips con il chitarrista Jeff Beck continua ad essere un momento cruciale della sua carriera. Così, passando dalle atmosfere orchestrali delle tastiere di Steve Weingart, al grintoso stile chitarristico saturo di blues di Andy Timmons, per finire con il vero e proprio debole per i tempi dispari e i suoni di percussioni esotiche, l'influenza di El Becko incombe su Protocol 3. E questa è una buona cosa, perché questo album si rivela come una delle più emozionanti registrazioni jazz-rock dell'anno. Le vaghe atmosfere smooth jazz in passato qua e là presenti, sono scomparse dalla sua musica. Gli otto brani sono molto diversi tra loro e molto creativi, tutti scritti da Phillips e dai suoi compagni. Il risultato di questo eccellente interplay è, come ci si aspetterebbe, fantastico in tutto. Lucido, preciso e potente ma con appena quel poco di " ruvida cattiveria e sporcizia" che rende tutto più umano e naturale, meno asettico. "Narmada" cavalca un groove ballabile dall'inizio alla fine, e Timmons solista si apre completamente al chakra di George Benson. "Ways Imaginary" oscilla abilmente tra blues, un mood morbido e una curiosa pesantezza proto-metal. Qui la chitarra e lo stile freddo del lavoro al piano rhodes di Weingart evocano la felice collaborazione di Beck con Jan Hammer. Quella sorta di inno che è "Outlaw", suona più pesante ancora, e mi ricorda qualcosa che lo stesso Hammer disse tempo indietro: "Questo è il rock-jazz, non jazz-rock" ... Una precisazione che delinea una certa differenza e che sposta gli equilibri sul versante della musica più popolare del mondo, piuttosto che verso quella più sofisticata. La band dimostra la propria versatilità su "You can't, but you can," esibendosi in un vero funky, nella tradizione dei primi album solisti di Billy Cobham, o delle registrazioni di Herbie Hancock con i suoi Headhunters. L'assolo di apertura di batteria di "Undercover" è in puro stile Tony Williams, mentre il resto del brano è un vero ed aggressivo numero jazz-rock, con fantastici assoli di Timmons e Weingart. Il clou di Protocol 3, tuttavia è "Circle Seven", un brano davvero stupendo scritto a due mani da Weingart e Phillips, che ci riporta prepotentemente ai bei tempi del jazz-rock più genuino. Grandi assoli, grandi emozioni, una favolosa performance collettiva che ci racconta che alla fine anche dopo tanti anni la contaminazione tra il jazz ed il rock può ancora dare molto ed in fondo non esiste uno stile che sia realmente e completamente superato. E' la qualità degli interpreti e la creatività delle composizioni a fare tutta la differenza. Protocol 3 è dunque un concreto e reale progetto di jazz-rock. Nessuna velleità d'avanguardia, niente sontuose morbidezze stile smooth jazz o pretese prog (beh, forse un po 'di quest'ultimo in effetti c'è, magari metal-prog...). Solo un album bellissimo che mi ha lasciato con un sorriso sulle labbra ogni volta che l'ho ascoltato.