New York Electric Piano - Citizen Zen


 New York Electric Piano -  Citizen Zen

Il piano elettrico Fender Rhodes occupa un posto unico nell’ideale pantheon delle tastiere: non è così storicamente importante come il suo fratello maggiore, il pianoforte acustico, magari è stato meno utilizzato dell'organo Hammond B3. Ma è sicuramente più rilevante di quella moltitudine artificiale di sintetizzatori o moog che è venuta dopo. E’ un pianoforte, ma in fondo suona anche un po’ come tutte le altre incarnazioni della tastiera e in qualche misura abbraccia anche i vibrafoni. Si riconosce fin dalla prima nota, creando un sound unico e particolare che può essere allo stesso modo dolce o energico, aggressivo o patinato. E’ insomma uno strumento bellissimo, che nel corso degli anni ha impreziosito in egual misura il jazz, il funk, il pop ed il progressive rock. Posso aggiungere come nota personale che questa tastiera a me piace moltissimo ed ogni lavoro, album, concerto dove il Fender Rhodes è presente mi ha sempre attratto in modo particolare. Il trio New York Electric Piano, guidato dal bravo Pat Daugherty, ha nel suo stesso nome una dichiarazione programmatica inequivocabile. Illustrare ogni sfaccettatura, tutti i riflessi, qualsiasi sfumatura del Rhodes. Autori di ben 8 album a partire dal 2004, il trio formato da Daugherty con il supporto del batterista Aaron Comess e del bassista Tim Givens nasce proprio con il preciso intento di valorizzare al massimo il sound del piano elettrico. Il gruppo può affrontare ogni declinazione del jazz con uguale scioltezza: dal funk gagliardo di "Miles Glorioso", al blues di "Blues for Curley", al bebop di "Hot Springs". Tutto eseguito con tecnica mirabile e passione. Qualcuno potrebbe obiettare che il problema di un album come Citizen Zen sia che una volta che il trio riesce ad entrare in un mood, a cogliere l’essenza del groove, sembra poi incerto su dove andare veramente oppure che abbia timore nel liberare completamente la propria creatività. Certo, alcuni dei riff sono piuttosto orecchiabili, come "Blaze a Trail" ed anche altri brani, come detto, sono molto coinvolgenti. Tuttavia si ha effettivamente la sensazione che la maggior parte dello spazio venga speso ripetendo troppo le melodie o suonando leggere variazioni delle stesse fino a quando non si passa al pezzo successivo. Gli estimatori del piano elettrico di sicuro troveranno comunque Citizen Zen un lavoro molto apprezzabile, quanto meno perché l’utilizzo del Rhodes è più che massiccio: è esclusivo. Daugherty elargisce cascate di note, accordi e contrappunti che non possono non entusiasmare tutti coloro che del piano elettrico hanno il culto. Lontano dall’essere un capolavoro, Citizen Zen è quindi un album particolarmente indirizzato a quella specifica categoria di appassionati (Fender Rhodes dipendenti), restando confinato in una nicchia estremamente circoscritta a livello di proposta musicale. Si tratta senza dubbio di jazz contemporaneo, invero piuttosto ripetitivo, come abbiamo visto, ma al contempo talmente specializzato e particolare da diventare alla fine un qualcosa di unico nel panorama discografico mondiale. In sintesi si potrebbe chiudere dicendo: tutto Rhodes, sempre Rhodes, nient’altro che Rhodes.