Malcolm Strachan – About Time


Malcolm Strachan – About Time

Sebbene abbia iniziato come musicista jazz, studiando al Leeds College of Music, il trombettista scozzese Malcolm Strachan ha trascorso praticamente tutta la sua carriera suonando come session man per una grande varietà di artisti non direttamente coinvolti nella musica afroamericana per eccellenza. Tra questi posso citare Mark Ronson, Amy Winehouse, Corinne Bailey Rae, Cinematic Orchestra e i famosissimi Jamiroquai. Parallelamente ha partecipato fin dall’inizio al progetto The Haggis Horns, un settetto orientato al funk di cui ho parlato poco tempo fa e che rappresenta uno dei migliori esempi attuali di questo genere. Tuttavia Strachan ha sempre desiderato scrivere e registrare un album di jazz in prima persona e finalmente oggi quel sogno è diventato realtà con About Time. Un titolo che in parte riflette il lungo viaggio che Malcolm ha compiuto professionalmente in questi ultimi 20 anni. Le atmosfere di “About Time” si distaccano nettamente dal funk-groove degli Haggis Horns, poiché qui il trombettista da libero sfogo alla passione per il jazz convenzionale, e nel farlo si fa carico di tutte le composizioni come pure di tutti gli arrangiamenti del disco. Uno dei punti forti di questo lavoro del trombettista scozzese è la sua “spudorata” eleganza commerciale. Si potrebbe dare a questo giudizio un’accezione negativa, e tuttavia sarebbe sbagliato: la godibilità di questo album è davvero adatta ad ogni palato, da quello più esigente a quello meno smaliziato. I brani mantengono una lunghezza più che accettabile, non sono mai debordanti e gli arrangiamenti sono equilibratamente studiati (anche quelli con l’orchestra, quando presente). C’è un tocco di modernità e in qualche momento Strachan non disdegna di citare il tanto amato funk, ma di fatto si tratta di un album di buon jazz. Non necessariamente questo genere deve rispondere a criteri di difficoltà musicale a tutti i costi e non è giusto essere sospettosi se da appassionati ci si imbatte in qualcosa che suona immediatamente fruibile. D’altra parte è noto quanto il jazz sia solitamente riservato ai suoi gelosi cultori ed anche come per l’ascoltatore occasionale sia opportuno maneggiarlo con cura. In questo caso si può ragionevolmente sostenere che Malcolm Strachan abbia raggiunto un favorevole compromesso tra l’anima più colta e complessa e quella più accessibile del jazz stesso. Il nucleo della band, in queste registrazioni, è composto dal leader accompagnato da George Cooper (pianoforte), Courtny Tomas (contrabbasso) ed Erroll Rollins (batteria). Il quartetto è poi arricchito in vari momenti del disco da altri musicisti: ad esempio, nella traccia di apertura Take Me to the Clouds possiamo ascoltare Atholl Ransome al sassofono tenore, Danny Barley al trombone e Karl Vanden Bossche alle percussioni. Ransome, Rollins e Cooper sono tutti membri degli Haggis Horns, quindi è chiaro da dove provenga lo straordinario interplay e la coesione di questo ensemble. L’iniziale e vivace Take Me To The Clouds, o la più sommessa Aline, evocano le colonne sonore italiane degli anni ‘60 e ‘70, mentre in altre occasioni il respiro degli arrangiamenti ci conduce oltre Oceano, al jazz dei grandi pionieri della storia di questo genere come accade in Mitchell’s Landing. L'influenza degli anni passati a suonare funk si fa sentire su un brano come Time for a Change, che gioca tutto sul groove, con un riff di fiati accattivante, morbido e senza eccessive ruvidità. Così succede anche in Uncle Bobby’s Last Orders. La delicatezza non manca, complice anche l'aiuto degli archi di Richard Curran che è responsabile di questi specifici arrangiamenti: ad esempio in I Know Where I’m Going, in cui qualcuno potrà rinvenire un tocco di Herb Alpert provenire dalla tromba del leader. Aline, la melodia che Stachan ha scritto in memoria di sua madre, morta a 38 anni, è un'altra composizione affascinante e distensiva. Si respira un’atmosfera di qualità in ogni aspetto di About Time: la produzione è limpida e ariosa, e Malcolm Strachan si rivela un musicista completo quando si cimenta al pianoforte nel brano Just The Thought of You o nella riflessiva ballata Where Did You Go? Questo è un bellissimo album, ricco di sfumature, in qualche misura anche inusuale considerando le esperienze passate di Malcolm Strachan. In tutto il lavoro sono piacevoli le variazioni dei temi e dei ritmi che spaziano con disinvoltura dalle vibrazioni latine alle bellissime ballate, dai groove funky-soul alle atmosfere cinematografiche, tutti pregevolmente condotti da un grande gruppo di esperti musicisti. Roba di classe, niente da dire. Il jazz è sempre stato la grande ed intima passione di Strachan, ma il funk, il soul, anche il pop sono stati per anni il suo lavoro quotidiano. Fino ad ora. Adesso l’attesa è finita, il jazz è tornato.