Joel Weiskopf – The Search

Joel Weiskopf – The Search

Per il pianista Joel Weiskopf, nell’ormai lontano 1999, dopo i lunghi studi classici e alcune importanti esperienze in ambito jazzistico, giunse il momento di intraprendere il suo viaggio artistico come leader, con questo primo album intitolato The Search. Ad oggi l’artista ha pubblicato sei lavori, tutti di alto livello. Noto per essere il fratello minore del più affermato sassofonista tenore Walt Weiskopf, le esperienze di Joel nella musica includono nove anni di formazione in pianoforte classico, la laurea al New England Conservatory of Music e concerti con Teddy Kotick, George Garzone, Tim Hagans e Woody Herman. Tutto questo in aggiunta ai suoi apprezzati contributi al catalogo del fratello Walt sull’etichetta Criss Cross ed in più alcune tournè dal vivo per la stessa casa discografica. Ciò che colpisce immediatamente nello stile di Joel è il suo totale controllo dello strumento, la sua fluida creatività che trova voce senza sforzo, con naturalezza e spontaneità. A tratti sa essere denso ed incendiario come McCoy Tyner, ma in un attimo può diventare equilibrato e rilassato, scarno e melodico come un Errol Garner o un Ahmad Jamal. Varietà e originalità sono alla base di un indovinato programma di standard e originali che vengono sapientemente mixati in questo album d’esordio, sorprendentemente maturo. Weiskopf  riesce infatti a riempire il suo portfolio di esecuzioni all’insegna della varietà senza trasformare il tutto in un incoerente guazzabuglio di musica. In fondo qui c’è tutto quello che si chiede ad un jazz che rappresenti al meglio il mainstream di oggi: swing, partecipazione emotiva, invenzione, coraggio, empatia. E nessun orpello, Joel va dritto al cuore della musica. Weiskopf è, insomma, un solista pieno e raffinato che sposa la sua connaturata eleganza ad una non trascurabile ricerca dell’imprevedibile. Una cosa che si riflette anche nel suo notevole lavoro autorale. "Edda" di Wayne Shorter fornisce il tipo di composizione che Weiskopf può fare sua con disarmante facilità. È anche abbastanza sicuro di sé da cimentarsi in un brano complesso come "Criss Cross" di Monk e lo fa in modo da mantenere intatto lo spirito del pezzo, lasciando tuttavia trasparire la sua identità poetica. La lunga title track The Search è un microcosmo di gusto e creatività, con l'interazione tra il solista ed il gruppo a rendere l'ascolto particolarmente seducente. In verità il bassista Peter Washington e il batterista Billy Drummond sono entrambi straordinari dall'inizio alla fine. La loro integrità musicale e la capacità di portare ispirazione sono un valore aggiunto che entrambi questi strumentisti di grande talento possono mettere al servizio di qualsiasi altro musicista con cui collaborino. Di certo come solista non si potrebbe desiderare di meglio di due formidabili specialisti come questi che spingono chiunque a dare il massimo. L’album presenta sia alcune ballate che brani ritmati, ma il trio riesce a gestire ottimamente anche il linguaggio più strettamente blues. Ciò è palesemente dimostrato in "Red's Blues". Non manca, in chiusura, una sorprendente lettura di Weiskopf di "My One and Only Love" in perfetta solitudine al pianoforte. E’ un debutto di grande spessore: ovviamente il pianoforte è dominante in The Search, ma va assolutamente sottolineato l’interplay prodigioso che il trio è in grado di spigionare. Joel Weiskopf dimostrò fin dall’inizio della sua carriera solistica che la sua sarebbe stata una voce importante nel panorama jazzistico contemporaneo. Un viaggio cominciato nel 1999 e che Joel prosegue ancora oggi con la stessa autorevole e talentuosa capacità di essere sofisticato, diretto e coerente.

Resolution 88 - Vortex


Resolution 88 - Vortex

Come avevo preannunciato torno a parlare del gruppo jazz-funk britannico Resolution 88, in occasione dell’uscita del loro quarto album in studio, Vortex. Questo nuovo lavoro contiene 8 brani che portano il sound della band in una nuova direzione compositiva. I Resolution 88 mantengono il loro sound distintivo, pilotato sapientemente dal Fender Rhodes e dai sintetizzatori, con uno stile affine a quello di Herbie Hancock e Toby Smith dei Jamiroquai. La band ha registrato questo materiale con l'usuale quartetto ma l'album presenta alcuni artisti ospiti come la cantante Vanessa Haynes e Tom Smith al sassofono e al clarinetto basso. Negli album precedenti, i Resolution 88 hanno aggiunto in post produzione  alcune sovraincisioni orchestrali ispirate ad album come Manchild di Herbie Hancock, ma in questo disco, le uniche aggiunte sono i soli suoni dei sintetizzatori. Il leader della band e principale compositore Tom O'Grady ha fatto di tutto per ricreare il mondo sonoro dei suoi personali punti di riferimento: i Mizell Brothers e chiaramente dell’idolo Herbie Hancock. "The Boss from Boston" apre il disco con uno stile potente: il basso virtuoso di Tiago Coimbra si intreccia con una linea melodica nel solco del grande Marcus Miller, per il quale i Resolution 88 hanno suonato come band di supporto al Ronnie Scott's Jazz Club. L'album passa rapidamente alla versione strumentale di "Love Will Come Around" (che riappare in una versione vocale alla fine del disco). La melodia si libra su una vera drum machine Roland CR78 (come quella usata da Hall & Oates e molti altri). "Sky High (for Larry & Fonce)" è un omaggio ai fratelli Mizell le cui produzioni degli anni '70 sono amate e celebrate in tutto il mondo, ma soprattutto nel Regno Unito. Tom O'Grady si è innamorato della loro musica non appena l'ha scoperta e questa ha avuto un'enorme influenza sulla sua ispirazione di musicista. Comporre una canzone è stato il modo più naturale per ringraziare i Mizell’s per l’influsso sulla sua carriera. Quando Larry Mizell in persona ha ascoltato questa traccia, la sua risposta ha, per così dire, dato un senso profondo all'ossessione per l'utilizzo di strumenti completamente originali. L’ha definita infatti  monumentale, facendo i complimenti a O’Grady anche per la sua abilità tecnica. "Never Ever Ever", si apre con un groove particolare, scarno ed essenziale, prima che un assolo dei synth catturi l'ascoltatore. C’è un crescendo entusiasmante, una vera delizia per gli amanti delle tastiere analogiche vintage. Di seguito si continua con un classico groove jazz funk, "Shriffty". Come suggerisce il nome, questa traccia è ricolma di riff. Tom Smith è l’ospite di questa traccia, nella quale è protagonista della partitura di sax tenore. Il brano finisce proprio con un assolo di sax potente e suggestivo. Da sottolineare, nella sezione centrale, come Tom O'Grady offra a sua volta un assolo di Rhodes molto pecualire, ispirato ai suoi musicisti preferiti Herbie Hancock e Patrice Rushen. "Final Approach" è piuttosto originale e si propone di dipingere in musica le luci che guidano gli aerei di notte sulle piste di atterraggio. Questo pezzo inusuale è un groove rilassato e notturno che evoca l'emozione di volare verso nuove mete. "Vortex" dà il titolo all'album ed è facile capire il perché: è un brano importante, di ben 8 minuti. Il basso iniziale è ripetuto ritmicamente mentre attorno ad esso orbitano tutti i tipi di suoni “cosmici”. Quando entra la batteria, il basso improvvisamente assume tutto un altro senso. Tom Smith suona una semplice melodia al sax soprano e al clarinetto basso aumentando la tensione, il tempo raddoppia e l'ascoltatore viene letteralmente risucchiato nel “vortice”. A completare il quadro sonoro arriva anche un assolo di sax soprano, nello stile di Bennie Maupin, che irrompe in una apparente tranquillità. Infine l'ascoltatore viene nuovamente catapultato al centro da un assolo di Rhodes di Tom O'Grady, accompagnato dall'energia frenetica e trascinante di Ric Elsworth alla batteria, dal basso jazz groove di Tiago Coimbra e dalle percussioni potenti di Oli Blake. All'improvviso, tutto si dissolve e l’atmosfera torna spaziale. "Love Will Come Around featuring Vanessa Haynes" è la versione vocale della seconda traccia dell'album. Vanessa Haynes è meglio conosciuta per aver cantato come solista con gli Incognito, le leggende del jazz funk del Regno Unito. In questo brano porta tutta quell'esperienza e la sua incredibile voce piena di passione e sentimento. Questa canzone (sia la strumentale che la vocale) vuole essere una sorta di riflessione su tutto ciò che sta succedendo nel mondo in questo momento. Di fatto è impossibile ascoltare le notizie oquotidiane senza provare un sentimento di sconforto: Tom O'Grady intende così proporre qualcosa di positivo attraverso un messaggio edificante dal quale trarre, se possibile, il meglio di noi stessi e degli altri. Ancora una volta questi ragazzi inglesi hanno fatto centro, Vortex è un gran bell’album, uno dei migliori usciti nel 2024, merita senza dubbio attenzione.

Hubert Laws – The Laws Of Jazz


Hubert Laws – The Laws Of Jazz

Quando si parla di uno strumento solista molto particolare per il jazz come il flauto traverso, ci sono tre nomi che vengono subito in mente: Eric Dolphy, Herbie Mann e Hubert Laws. Per i puristi del jazz i secondi due si portano dietro una fama non troppo positiva a causa della loro produzione più commerciale degli anni '70. Ma va detto anche che la loro abilità tecnica, il loro sound e la indubbia personalità rappresentano comunque i vertici per quanto riguarda il flauto. Se parliamo di Hubert Laws in effetti viene quasi istintivo associare l'artista ai suoi album per la CTI, ed alcuni di questi hanno effettivamente delle grandi qualità. Tuttavia ascoltando The Laws Of Jazz è altrettanto chiaro che il flautista di Houston (fratello del sassofonista Ronnie) ha uno spessore ed una profondità che vanno ben oltre il suo periodo alla corte di Creed Taylor, facendone davvero un personaggio di spicco del panorama jazzistico internazionale. D’altronde Hubert può vantare una carriera di oltre 40 anni nel jazz, nella musica classica e in altri generi musicali. Considerando l'abilità artistica del compianto Eric Dolphy e la popolarità del già citato Herbie Mann, Laws si trova ad essere in compagnia dei più famosi e rispettati flautisti di jazz della storia (di certo anche uno dei più imitati). Laws è uno dei pochi artisti di estrazione classica in grado di padroneggiare altri generi come appunto il jazz, ma anche il pop ed il rhythm and blues o il soul, muovendosi senza sforzo da un repertorio all'altro. La sua carriera inizia nel 1965 con l'Atlantic Records con la quale pubblicherà tre dischi di qualità, dei quali The Laws Of Jazz è il primo in assoluto. Si tratta di un hard bop piacevole, con Laws che resta molto compostamente in linea con la tradizione e veicola le sue composizioni e i suoi assoli con coerenza e rigore (è ovvio che qui non si può trovare l’ardore e la iconoclastica creatività di Eric Dolphy o Rahsaan Roland Kirk). I brani più accattivanti e memorabili sono in effetti quelli con i connotati più blues: "Bessie's Blues" e "Bimbe Blues", dove Laws si sbizzarrisce davvero con il suo flauto, innervandolo di un anima ricca di soul. Il gruppo che accompagna il leader in questa prima uscita annovera nomi noti ed importanti come Richard Davis, Jimmy Cobb e Chick Corea (qui presentato all'inizio della sua carriera come Armando Corea). Tutti i musicisti aggiungono ottimi assoli ed arricchiscono la sessione con grande maestria. Laws suona l'ottavino in due dei brani, uno strumento che forse funziona meno bene del traverso in questo contesto, probabilmente a causa del suo suono troppo stridente. Hubert Laws è di certo un magnifico strumentista, dotato di talento e di una tecnica sopraffina che gli ha consentito di avventurarsi con  successo con le grandi orchestre di musica classica. Come detto, nei primi anni Settanta ottenne un grande riscontro commerciale (e persino il plauso della critica) con la sua miscela unica di jazz e musica classica, registrando molti album per l’etichetta CTI, della quale divenne uno dei nomi di punta. Alcuni di questi dischi, in particolare Morning Star, Afro Classic e In The Beginning, sono davvero rivoluzionari nel combinare jazz, musica classica e pop in un'unica e coesa presentazione. Tuttavia, la natura easy going e il tenore di brani pop come "Fire and Rain" di James Taylor o il tema del film "The Love Story" hanno via via allontanato molti appassionati puristi del jazz, tanto all’epoca quanto ancora oggi. Non intendo esaltare a tutti i costi il valore di un disco come Laws Of Jazz, che può più o meno essere di gradimento a seconda dei gusti e dell’apprezzamento che si può avere per lo strumento flauto. In generale qualsiasi appassionato dell'hard bop e del jazz moderno avrà modo di godere di The Laws Of Jazz, sia come documento storico (l'esordio di Laws e  di un giovanissimo Corea) sia per la musica piacevole e di valore che offre.

Ramsey Lewis – Taking Another Look


Ramsey Lewis – Taking Another Look

Ramsey Lewis è salito ala ribalta a metà degli anni '60, proponendo una lettura del jazz in chiave strumentale funky e soul, in brani da top 40 come "The In-Crowd" e "Hang on Sloopy". La formula ha fatto guadagnare al suo trio (che includeva il futuro fondatore degli Earth Wind and Fire Maurice White alla batteria) un notevole successo e ha reso Lewis uno dei pianisti jazz di maggior successo di quel periodo. Tuttavia, all'inizio degli anni '70, si stancò del formato del trio acustico e conseguentemente abbracciò la fusion, l’R&B ed il funk più elettrico. All’apice di questa svolta artistica, unendosi nuovamente con Maurice White, raggiunse la sua piena maturazione nel 1974 con l'uscita del classico Sun Goddess. L’album presentava in diverse tracce molti componenti degli Earth Wind and Fire e vedeva il collaboratore di Miles Davis Teo Macero nel ruolo del produttore. Sun Goddess raggiunse il primo posto sia nella classifica di Billboard, nella categoria Black Albums che nella classifica degli album jazz. Di fatto è stato sia l'album di Lewis più venduto degli anni '70, che soprattutto una pietra miliare dell’emergente movimento dello smooth jazz. Chiunque abbia nostalgia di rievocare un po' delle calde sensazioni della metà degli anni '70 non dovrebbe esitare nello scegliere Sun Goddess come punto di partenza. Detto questo se facciamo un salto in avanti di circa 35 anni, scopriamo che in questo periodo Ramsey Lewis negli ultimi tempi non ha quasi mai riutilizzato un sintetizzatore o un piano elettrico Fender Rhodes, privilegiando quindi il jazz acustico. Poi, in modo del tutto casuale, il suo agente gli propose di riunire l'Electric Band e di rivisitare almeno in parte il materiale inciso su Sun Goddess. Inizialmente scettico, Lewis ha effettivamente rimesso insieme il gruppo "solo per vedere come si sente" ma subito scoprì che gli piaceva molto quello che veniva fuori. Così è nato Ramsey Taking Another Look, l'80° album di Lewis. Senza alcuna digressione sul viale dei ricordi, Ramsey Taking Another Look si reimpossessa di tutto ciò che c'è da apprezzare in Sun Goddess e lo traspone con forza qui ed ora. E dunque quattro delle sette tracce di Sun Goddess sono state ri-registrate da Lewis e dalla sua Electric Band con Charles Heath alla batteria, Joshua Ramos al basso, Henry Johnson alla chitarra e Tim Gant alle tastiere (mentre l’immortale "Sun Goddess" è una riedizione dell'originale e non un remake). Inoltre, ci sono cinque nuovi brani concepiti con un mood molto vicino a quello degli anni ‘70. Il brillante anche se anziano Lewis e i suoi complici appaiono comunque in gran forma. Come prova prendete ad esempio la loro versione di "Living for the City" di Stevie Wonder. Se vi è piaciuta su Sun Goddess, qui la adorerete. Ascoltate con attenzione le dinamiche del brano che colpisce immediatamente, con Heath e Ramos che propongono un magnifico groove funk, Lewis che lo fa suo con un assolo carico di blues. Come un Wes Montgomery che ha magicamente fatto sua "Round Midnight" e John Coltrane che ha reso unica la popolare "My Favorite Things", Lewis raccoglie la sfida con il classico di Wonder. Poco da dire anche sull'altro materiale che viene qui riproposto. "Jungle Strut", "Tambura" mantengono il fascino vintage degli anni '70 anche se il sound che ne esce è puro funk aggiornato al 2011. La splendida "Love Song" è quella che vede il restyling più importante tra il materiale di Sun Goddess. Ad alcuni potrebbe mancare la produzione lussureggiante dell'originale, ma una grande melodia è pur sempre una grande melodia. Uno degli aspetti più positivi di Ramsey Taking Another Look è il modo in cui suona fluido nonostante il divario di decenni nella concezione del materiale. Su "Betcha By Golly Wow" degli Stylistics lo Steinway di Lewis non ha mai suonato meglio e si sposa bene con le già citate "Love Song" e "Living for the City", mentre "To Know Her" combina il funk attualizzato con una melodia carica di pathos. Anche il chitarrista Henry Johnson contribuisce grazie ai suoi riff blues-bop. "Intimacy" apre il disco con un intro di Johnson alla chitarra, prima che il pianoforte maestoso di Lewis entri creando un groove melodico molto accattivante. "The Way She Smiles", è un veicolo che Mr. Lewis usa per condurci alle origini vere del funk. "Sharing Her Journey" conclude il tutto con un bel tocco di fusion vecchia scuola, ma se preferite potete chiamarlo smooth jazz. In realtà c'è ancora spazio per la riedizione di "Sun Goddess" (ridotta a cinque minuti dagli otto originali) che resta sempre un capolavoro (quell'assolo finale di Rhodes rimane uno dei punti più alti nel modo di utilizzare il piano elettrico). E tra l’altro ci ricorda che grande band fossero gli Earth Wind & Fire). Ramsey Taking Another Look è un album che pochi pensavano che Ramsey Lewis avrebbe realizzato (forse meno di tutti luistesso) e dimostra che a volte le cose migliori possono capitare dal nulla, quando non te le aspetti. Non a caso dopo la sua iniziale riluttanza a rivisitare il jazz elettrico, è proprio Ramsey Lewis a ritenere questo lavoro tra i cinque migliori che abbia mai realizzato. Bisogna credere al Maestro e ascoltando queste tracce, alla fine non si può che essere d’accordo con lui.