Chick Corea Elektric Band – To The Stars


Chick Corea Elektric Band – To The Stars

È difficile credere che siano trascorsi dieci anni dalla precedente registrazione del pianista Chick Corea nella sua mai sopita vena elettro-jazz: la Elektric Band. Il maestro, in questi anni si è concentrato su una grande varietà di progetti, tra cui il sestetto Origin, il suo nuovo trio con Jeff Ballard e Avishai Cohen, e i classici duetti con Gary Burton. Ma, come anche il suo sodale Herbie Hancock, pure lui impegnato negli ultimi dieci anni in un contesto prevalentemente acustico, il grande Chick non ha certo perso l’attrazione per una più ampia tela musicale: la sua passione per il jazz rock e per i gruppi elettrici non lo ha infatti mai lasciato completamente. E così nel 2004 arrivò finalmente la pubblicazione di To the Stars, un nuovo atteso album di Corea registrato con il supporto della sua formidabile Elektric Band. Il disco forse non raggiungerà gli standard elevatissimi di Inside Out, cioè di quello che è stato probabilmente il lavoro più bello della band, risalente agli anni '90, ma è pur sempre un album di gran pregio. A differenza di quanto fatto in campo acustico e nel jazz mainstream, come è noto, il lavoro elettrico di Corea ha avuto, nel corso degli anni, la sua parte di detrattori ma anche un folto gruppo di fans. Le principali critiche mosse alla Elektric Band sono (da sempre) un eccesso di auto-indulgenza, troppa retorica e la tendenza a voler strafare a livello tecnico. Se, a voler essere obiettivi, può esserci un po' di verità in queste accuse, la realtà è che Chick Corea ha sempre ritenuto che le sue band elettriche fossero le più complete forme espressive dal punto di vista musicale, e ciò risale addirittura ai suoi giorni di gloria con gli storici Return to Forever. La Elektric Band non nasconde la sua natura muscolare e con il chitarrista Frank Gambale, il sassofonista Eric Marienthal, il bassista John Patitucci e il batterista Dave Weckl, crea davvero un potente ed energico sound fusion. Corea e compagnia offrono un jazz rock strutturato e potente, che non dimentica il groove e l’emozione, pur se attraverso numerosi passaggi incredibilmente difficili ed intricati. Nell’album si spazia tra atmosfere diversificate ma tutte ugualmente dinamiche. Si passa da "Mistress Luck -A Portrait" tinta di sapori latini, al funk più diretto di un brano come "Johnny's Landing" fino ad arrivare alla più lunga e stratificata "The Long Passage". Qui la moglie cantante di Corea, Gayle Moran costruisce un coro multitraccia molto efficace, facendo tornare alla mente i tempi dei Return To Forever. Il Chick Corea elettrico è stato spesso paragonato ad altri mostri sacri della sua generazione, e tra questi vanno citati senza dubbio i Weather Report, la Mahavishnu Orchestra e tutti i vari progetti fusion di Hancock. Ci sono indubbiamente delle affinità, ma un aspetto è indiscutibile se si vuole dare una valutazione complessiva: la musica della Elektric Band  ha una sua propria identità ben precisa e riconoscibile. Se da un lato questa versione attuale del pianista è cosa ben diversa dai Return to Forever, non ci può essere alcun dubbio che entrambi siano derivati dalla stessa (geniale) mente musicale. La cosa è evidente subito in apertura, con "Check Blast", che mette insieme suoni  bizzarri e nervosi, mini-assoli trascinanti dove tutti i musicisti hanno il loro breve spazio da solista in duetto con Dave Weckl. Indubbiamente è jazz rock proiettato nel 21° secolo, ma chiaramente proviene dallo stesso compositore che ha creato Hymn To The Seventh Galaxy e Romantic Warrior. Lo stile caratteristico di Corea può non suonare adatto a tutti i gusti, ma la sua forte personalità ed una tipica unicità gli conferiscono chiaramente un peso difficile da liquidare in modo superficiale. Ed a voler guardare Chick è capace anche di scrivere pezzi complessi che riescono comunque a rimanere accessibili. Non mancano le sorprese all’interno di un contesto tutto elettrico: "Alan Corday" è una storia tutta acustica, con un "assolo impossibile" per chitarra classica di Frank Gambale. Chick Corea stesso sostiene che il pezzo, ispirato ad un ritmo di fandango originariamente ascoltato in un disco del chitarrista di flamenco Paco de Lucia, è "tecnicamente la melodia più impegnativa che abbia mai scritto". Insomma il grande maestro Chick e la sua formidabile Elektric Band riescono a navigare tra passaggi tecnicamente vertiginosi, ritmiche intricatissime (Dave Weckl al solito fenomenale) e melodie complicatissime eppure mai meno che musicali. Come notazione necessaria ma non vitale ai fini strettamente artistici, va detto che To the Stars è ispirato ad un libro di fantascienza di Ron Hubbard, il fondatore di Scientology, di cui Chick è un fervente seguace da molti anni. Questo non influisce minimamente sull’opera che resta un affare musicalmente scollegato da speculazioni filosofiche o religiose di qualsivoglia genere. Si tratta di grande musica: tecnicamente suonata in modo ineccepibile e ricca di contenuti e spunti di grande valore. In ultima analisi l’ultimo album della Elektric Band è davvero un gradito ritorno al jazz rock energico e complesso, quello stesso che per Chick Corea ha significato successo e popolarità.

Scott Petito – Rainbow Gravity


Scott Petito – Rainbow Gravity

Scott Petito è un nome relativamente sconosciuto. Ma in realtà lui è un pluripremiato compositore, arrangiatore e produttore. Scott è soprattutto un bassista e un polistrumentista di grande talento che ha suonato in centinaia di registrazioni nei più svariati stili musicali. Petito ha maturato una vasta esperienza attraverso il suo lavoro principalmente nel jazz e nel folk: ha lavorato, giusto per fare degli esempi con musicisti del calibro di James Taylor, Pete Seeger, The Band, Jack DeJohnette, Don Byron, Dave Brubeck, Chick Corea, Roy Haynes, John Scofield e molti altri importanti artisti. Scott Petito vanta anche una preparazione musicale di primordine avendo studiato composizione e arrangiamento nella più importante fucina di talenti che esista negli Stati Uniti, il Berklee College of Music di Boston. Ha inoltre prestato la sua opera alla BBC, a Robert Redford e al Public Broadcasting Service americano componendo colonne sonore e jingle. Il suo lavoro di musicista e compositore ha ricevuto riconoscimenti anche dal Billboard Magazine. Il suo primo album da solista, intitolato "Sbass Music", è un disco per solo basso di pura ambient music, molto etereo e particolare, che ha raccolto molti consensi ed è stato trasmesso da numerosissime stazioni radio negli Stati Uniti e nel resto del mondo. “Rainbow Gravity”, è il nuovo album del bassista, freschissimo di stampa. Petito convince subito con questo suo secondo impegno come leader, anche grazie al vero e proprio melting pot di musicisti di fama mondiale che è riuscito a mettere insieme. Una sfilata di stelle del jazz tra le quali figurano il sassofonista Bob Mintzer, il trombettista Chris Pasin, il chitarrista David Spinozza, i tastieristi Rachel Z, David Sancious e Warren Bernhardt, i batteristi Jack DeJohnette, Peter Erskine, Simon Phillips e Omar Hakim, il vibrafonista Mike Mainieri e il percussionista Bashiri Johnson. Con questo gruppo di formidabili musicisti a disposizione, il talentuoso polistrumentista ha scritto e arrangiato una raccolta di nove composizioni originali che mescolano il jazz moderno, l’R & B, il funk e la musica sudamericana, più una commovente interpretazione di "Lawns" di Carla Bley. Rainbow Gravity è un perfetto esempio di come può essere letto il nuovo jazz elettrico nel presente. L’album nasce da un lavoro collettivo, con tutti gli artisti che hanno contribuito, in varia misura ma con indubbia qualità, sia al progetto complessivo che all'esecuzione dei singoli brani. Questo avviene in un modo che, come afferma lo stesso Petito, mostra "una vero spirito di collaborazione ed una mirabile abilità tecnica". La musica contenuta in Rainbow Gravity rimanda al jazz elettrico della fine degli anni '60 e dei primi anni '70: agli esperimenti rivoluzionari di Miles Davis in "In a Silent Way" e "Bitches Brew" o all'energia ed alla complessità ritmica della Mahavishnu Orchestra, Herbie Hancock, Chick Corea e soprattutto dei Weather Report. Insomma l’ispirazione principale viene dai tanti innovatori che hanno letteralmente inventato nuovi suoni e stravolto gli stilemi del jazz, influenzando di conseguenza tutta una generazione di musicisti a venire. Musicalmente parlando questo è un progetto pieno di creatività e la cosa è tangibile fin dalle prime note, ascoltando la funky Sly-Fi o la successiva latineggiante Sequence Of Events. L’album tra l’altro può vantare un’invidiabile e piacevole varietà di atmosfere e gli assoli di Scott Petito, in particolare quelli all’ottavino, sono melodici e raffinati.  Il brano A Balsamic Reduction mette in evidenza sia quest’ultimo aspetto che un’equa distribuzione delle parti soliste. Il progetto prende il titolo dalla teoria della gravità dell'arcobaleno, un concetto di fisica quantistica che contraddice la teoria del Big Bang e propone per contro che il tempo si estenda e continui all'infinito. Un’idea questa che Petito come musicista e compositore persegue attivamente cercando di creare un senso di atemporalità nella sua musica. Il suo sforzo è quello di catturare un momento o una sensazione che potrebbe continuare all'infinito. Come spiega lo stesso Petito: "l'esperienza nel suonare e nell'ascoltare la musica può sospenderci nel tempo e allo stesso tempo portarci in posti nuovi con infinite possibilità. Quella relazione tra la musica e la nostra vera essenza dell'essere mi ha sempre colpito come la più umana delle esperienze." E’ così che Rainbow Gravity trasporta l’ascoltatore in un viaggio fuori dalle mode e dai luoghi comuni, sorprendendolo con il più classico jazz hard bop così come con il funky più ritmico o magari con i toni morbidi ed eterei della new age (Masika e Dark Pools). A volte più vicine al contemporary jazz, altre più sperimentali ed audaci, le composizioni di Scott sono perfetti racconti musicali, piene di narrazioni ingegnose che spingono alla meditazione ed animano il suo virtuosismo e quello dei suoi stellari compagni d’avventura. Rainbow Gravity non è il classico disco di jazz elettrico ne tantomeno di smooth jazz. Si può dire che tracci (o cerchi onestamente di farlo) una terza via che raccoglie suggestioni da molti stili e generi e grazie al contributo di una squadra di formidabili musicisti consente al bassista Scott Petito di dare vita a un album originale ed alternativo, non privo di motivi per essere ascoltato ed apprezzato.

Art Farmer - Crawl Space


Art Farmer - Crawl Space

Alcune delle più belle registrazioni della mitica etichetta CTI della fine degli anni '70 furono quelle guidate dal flicornista Art Farmer. Sebbene Farmer avesse l’abitudine di includere in questi lavori del materiale non troppo popolare (in questo caso Art suona un suo originale, due brani di Dave Grusin e un pezzo del pianista Fritz Pauer) e considerando che spesso utilizzava dei musicisti normalmente non avvezzi a suonare insieme, i risultati erano generalmente piuttosto gratificanti. Su questo Crawl Space), il focus è quasi interamente sullo stesso Art Farmer a cui si uniscono il tastierista Grusin, il chitarrista Eric Gale, il flautista Jeremy Steig, Will Lee o George Mraz al basso e il batterista Steve Gadd. E di fatto la magia del timbro caldo e pastoso del flicorno di Farmer catalizza l’attenzione dell’ascoltatore. Ricordo di aver comprato questo album basandomi sull'ascolto dei primi minuti della seconda traccia, "Siddhartha". Il tono e l'articolazione di quelle poche note mi suggerirono che c'era qualcosa di molto interessante in Crawl Sapce, ed in effetti non sbagliavo. Ovviamente conoscevo Art Farmer da molto tempo: la sua lunga carriera al seguito di alcune delle stelle più luminose del jazz ed una più che consistente discografia da solista sono la testimonianza che questo musicista appartiene all’elite mondiale della storia del jazz. L'unica cosa negativa che posso addebitare a questo album è che è fin troppo breve: solo quattro tracce, per un totale di circa 35 minuti. Un piccolo difetto che per la verità era abbastanza comune nelle registrazioni della CTI.  Ma se in un disco la qualità è elevata, come in questo caso, la sua lunghezza diventa alla fine un parametro irrilevante. Forse l'aspetto più forte di Crawl Space è il modo in cui il gruppo, molto ben comandato dal leader, è riuscito a resistere alla tentazione di strafare; un peccato nel quale cadono a volte i musicisti di jazz. C’è una sensazione di grande equilibrio e nemmeno la lunghezza dei brani (tra gli 8 e i 10 minuti) è foriera di noia e di ripetitività. Qui non troverete performance roboanti solo per mettere in mostra la competenza tecnica degli esecutori o per stupire l'ascoltatore. Tutto si combina bene: gli assoli così come le parti corali restano interessanti e misurate. Raffinata è forse il termine più corretto per definire la musica di Crawl Space, anche se di sicuro non la si può considerare piatta o inespressiva. Ad un quadro generale già positivo, nell’analisi di un album come questo vanno aggiunti i contributi dei grandi musicisti inclusi nella registrazione. La batteria di Steve Gadd, ad esempio è diretta e sofisticata al tempo stesso, così come lo splendido lavoro di chitarra di Eric Gale, che si inserisce alla perfezione nel contesto con i suoi assoli melodici. Dave Grusin è eccellente con il suo piano elettrico in entrambi i ruoli di solista e di supporto, mentre anche i due bassisti che si alternano offrono la giusta pulsione ritmica. Art Farmer infine possiede una timbrica eccezionale e padroneggia il suo flicorno con grande maestria tecnica: sembra indugiare più sulle tonalità basse e profonde ma questo non significa che non si possa esprimere anche sui registri superiori. Di fatto quando sale verso l’alto lo fa con grande naturalezza rendendo le note acute dei momenti carichi di grande intensità. Art Farmer è indubbiamente il leader di questo album e tuttavia non domina indebitamente ogni traccia, ogni momento di musica: è così che ogni artista ha qui la possibilità di brillare in vario modo e misura su tutti i brani. Dalla title track che apre sontuosamente l’album, alla successiva ed enigmatica Siddharta, senza dimenticare Chanson e Petite Belle, le atmosfere sono caratterizzate da suoni tipicamente anni ’70. Il groove è quello funky elettrico in voga in quegli anni d’oro, che furono senza dubbio i più creativi per le correnti innovative del jazz. Molto spazio viene dato al flauto di Jeremy Steig, che lascia un’impronta molto forte su tutte le composizioni, contribuendo in modo determinante a delineare la fisonomia di Crawl Space. Sono solo 4 i brani di questo lavoro, tutti molto lunghi ed articolati e tutti molto interessanti: come già detto sarebbe stato ancora meglio se ne fossero stati inseriti di più. Il jazz moderno e gradevole di un ispirato Art Farmer avrebbe meritato maggior spazio all’interno di questa registrazione. Dopo una vita passata a cavalcare il miglior hard bop sulla piazza, il grande flicornista e trombettista dell’Iowa aprì con Crawl Space la sua parentesi con la CTI records di Creed Taylor, dimostrando di essere a suo agio con ogni tipo di idioma musicale, con lo stesso talento di sempre. Questo è un disco consigliabile a tutti, compresi coloro che non hanno grande familiarità con il jazz, ma di sicuro rappresenta una scelta irrinunciabile per gli appassionati di rare grooves e vintage sounds.

Tristan – Full Power


Tristan – Full Power

Da qualche anno si è affacciato alla ribalta internazionale un nuovo gruppo di origine olandese che prende il nome di  Tristan:  è una band formata da musicisti locali di grande esperienza che è caratterizzata da uno stile vintage, con forti connotati Acid Jazz. Le chitarre ritmiche funky, l’organo Hammond, il piano elettrico Fender Rhodes e i synth si combinano con una potente sezione ritmica e delineano i contorni di un insieme di notevoli individualità artistiche. Insieme alla bella voce della cantante Evelyn Kallansee, i Tristan  hanno trovato la formula giusta per esprimere al meglio le loro potenzialità. Ovviamente non poteva mancare una sezione fiati perfettamente amalgamata nel contesto del gruppo: un sound così curato non può non evocare altre grandi band funk jazz ed infatti loro sono stati soprannominati gli Incognito olandesi, anche se all’interno della loro musica si possono trovare spunti dei Tower OF Power o dei più recenti Snarky Puppy. Pur non avendo ancora raggiunto un successo globale, i Tristan sono una band molto interessante e ricca di contenuti, specialmente grazie al loro innegabile groove, alle belle composizioni ed agli arrangiamenti molto raffinati: per gli appassionati del genere jazz funk sono senza dubbio una proposta da tenere in considerazione. Sul sito della band olandese c'è una citazione del famoso chitarrista Steve Lukather (uno dei fondatori dei Toto) che afferma: "li amo ... sono il meglio degli anni '70 trasportato al 2013" ... Questo pensiero è condivisibile, e l’operazione “vintage” è perfettamente organica, ma personalmente vedo questo progetto più come un tentativo di tenere viva la tradizione della musica suonata contro l’imperante moda dell’elettronica programmata sinteticamente. 'Full Power' è il sorprendente album di debutto di questa band, datato 2014, nel quale i musicisti olandesi si divertono a suonare insieme raccogliendo il testimone della vera musica jazz funky soul. I Tristan hanno messo in piedi un progetto moderno e stimolante, corroborato da numerosi interventi vocali e sostenuto da una vigorosa carica strumentale. L’album è saldamente radicato nel passato ma non manca di dimostrare un forte legame con il presente. "Full Power" è un disco davvero forte: ci sono molti numeri veloci e ricchi di groove, come ad esempio la piacevole "Moontune", la brillante "Keep On" o ancora "Step Into Bright Light" e “Echo”. Tutti brani ben costruiti e ballabili, in grado di trasmettere energia positiva e un grande impatto sonoro. "Riverflow" ad esempio ha quel classico tocco jazz funk della fine degli anni '70, pieno dell’inconfondibile mescolanza di ritmo, voce soul e fiati in abbondanza. Girano dei bei filmati professionali su YouTube che evidenziano la grande musicalità di questa band e confermano che l’abilità dei Tristan sia nelle composizioni che negli arrangiamenti non è certo un fatto casuale. I colori di questo variopinto arcobaleno musicale sono in parte dati dalla voce soul della dinamica Evelyn Kallansee, una cantante dall’indubbio talento che si inserisce alla perfezione nelle architetture musicali del gruppo. Insieme a lei ci sono i validissimi musicisti che fanno parte della band: quello che ne esce è una fantastica fusione funky soul con una forte ispirazione jazzistica. La sezione ritmica composta da Sebastiaan Cornelissen alla batteria, il percussionista Martin Gort e il bassista Frans Vollink è straordinariamente precisa e fornisce il groove giusto e perfettamente funzionale allo stile ed al genere dei Tristan. I componenti del gruppo meritano tutti una citazione e non fa eccezione il fluido e virtuoso tastierista Coen Molenaar, che incanta l’ascoltatore facendo volare le sue dita sul piano elettrico e sull’organo Hammond. Il chitarrista Thomas Bekhuis si distingue per il suo sapiente tocco  sia ritmico che melodico, dispensando buon gusto e aggiungendo una dose di equilibrio a tutto il progetto. I fiati e persino gli archi sono arrangiati e suonati con attenzione e rigore, risultando decisivi nel donare un suono pulito ma potente alla musica dei Tristan. Ogni traccia di questo album rivela un'incredibile attenzione per i dettagli ma riesce al contempo ad emozionare. Gli altri artisti che hanno contribuito alla realizzazione di questo formidabile debutto discografico sono Remko Smid: Sax, Florian Sperzel: Trumpet, Martin Hiddink: Tromba e Flugelhorn, Harm-Jan Teule: Sax, Paul Rademaker: Trombone, Tom Beek: Sax soprano e Oscar Schulze: Vibrafono. Giudicato nel sua interezza e valutato per i contenuti Full Power è uno degli album più convincenti che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi anni.  Se vi piace quel tipico e frizzante jazz funk degli anni '70 e se avete amato l’acid jazz degli anni ’90, questo è il disco che fa per voi. A dispetto dell’essere un’opera prima, Full Power è un album molto compiuto e di valore ed i Tristan sono una vera e propria ventata di piacevole quanto sofisticata aria fresca in un panorama musicale altrimenti alquanto stagnante.