Courtney Pine - Devotion


Courtney Pine - Devotion

Courtney Pine è forse il più enigmatico dei jazzisti britannici degli ultimi vent’anni. Con la sua visione musicale sempre inquieta e avventurosa, anche se a volte discutibile, ha affascinato e al contempo frustrato i critici e gli ascoltatori. Musicista dotato di una curiosità creativa davvero a 360°, ha nel tempo abbracciato la world music, il pop, il reggae, l’elettronica, il funk ed il soul per soffermarsi infine sulla tradizione del jazz. Nato nel marzo del 1964, Pine ha trascorso la sua giovinezza a Londra, imparando a suonare diversi strumenti, tra cui il sassofono (è un esperto di tenore, soprano e baritono), il clarinetto, il flauto ed anche le tastiere. Devotion, del 2004, è il nono album di Courtney Pine ed è anche il suo primo album pubblicato negli USA dal 1999. Coloro che hanno familiarità con l’originale proposta musicale di Pine, in bilico tra le esplorazioni di John Coltrane e Sonny Rollins e la sua relazione d'amore con il reggae, il soul, il  funk, ed il pop, saranno interessati ed appagati da questa registrazione. Con Devotion Courtney ha messo un po’ di ordine nel suo spesso confuso bagaglio artistico, equilibrando tutte le sue passioni e le sue esplorazioni su un album che rimane sempre ai margini del jazz, ma tuttavia compone i pezzi del puzzle in una forma razionale e concreta. D’altra parte va sottolineato come la familiarità al sound delle discoteche ed anche a quello della musica di strada è da sempre nel suo DNA. E’ il feeling che lo contraddistingue fin dal suo disco di debutto del 1986, Journey to the Urge Within. Su Devotion lo studio diventa una sorta di laboratorio dove l’artista affina la sua ricerca, raggiungendo risultati molto convincenti. E’ un lavoro sul quale Pine evidentemente non è più interessato a snaturare le sue fonti d’ispirazione per adattarle alla sua musica. Sta cercando di mettere tutto in un unico meltin’ pot  di stili ed ottenere così una combinazione di diversi generi  sovrapposti l'uno all'altro in un unico progetto d’insieme. Pine qui suona il pianoforte elettrico, l’organo Hammond, ovviamente i sassofoni, l’EWI, il clarinetto ed il flauto, oltre ad occuparsi della programmazione dei bassi e dei loop. Con il sassofonista londinese sono protagonisti anche il chitarrista Cameron Pierre, il bassista Peter Martin, il batterista Robert Fordjour e diversi percussionisti, tra cui Thomas Dyani. L’album inizia con una strana intro fatta di effetti sonori ma subito proietta l’ascoltatore in pieno soul-jazz funky con il successivo "Sister Soul", brano vivace che tocca le corde giuste per risultare accattivante e mettere in evidenza la bravura tecnica di Courtney Pine. “Devotion” è un reggae con forti connotazioni ska e Pine si esibisce qui con il sassofono baritono e il clarinetto basso. Un bel groove, ricco di sfumature e variazioni armoniche interessanti con in evidenza l’assolo di Courtney che ricorda l’Archie Shepp della fine degli anni ‘60. Molto stimolante anche il tributo afro-funk intitolato "Osibisa", un omaggio alla pionieristica band africana degli anni '70. E’ un affresco colorato dai suoni dell’India e dell’Oriente quello di "Translusance", ospiti il sitarista Sheema Mukherjee e le tablas di Yousuf Ali Khan. Molto bello il dialogo in contrappunto tra sax e sitar tra Pine e Mukherjee per un effetto che è originale ed suggestivo. Notevoli I brani "U.K", dal sapore acid jazz,  ed anche "Everything Is Everything", che ammicca al soul jazz degli anni ’60. Ci sono anche un paio di pezzi cantati piuttosto belli. In primo luogo c'è una bellissima cover di "Bless The Weather" di John Martyn con David McAlmont come voce solista. Will Jennings e Joe Sample sono gli autori di "When World Turns Blue", con la splendida voce di Carleen Anderson per una reinterpretazione in chiave drum’n’bass che aggiunge un ulteriore tassello al mosaico di un album molto riuscito. In definitiva Devotion è l’opera di un maturo, ma sempre inquieto, maestro del jazz che sa esattamente ciò che vuole e dimostra di non essere interessato al jazz inteso come un’entità separata dal resto del contesto musicale o una tradizione rarefatta ed elitaria. Piuttosto per Courtney Pine il jazz è una materia vivente, una forma artistica in continua evoluzione e movimento, che abbraccia le differenze come parte integrante della sua missione. Pine guarda ogni forma musicale attraverso la propria caleidoscopica lente e la reinterpreta plasmando tutto attraverso il jazz, per ottenere ogni volta qualcosa di nuovo e interessante.