Swing Out Sister – Live At The Jazz Cafè


Swing Out Sister – Live At The Jazz Cafè

Gli Swing Out Sister sono un gruppo nato nel cuore degli ’80, nel mezzo del glamour di quel periodo edonistico, collocandosi  inizialmente all’interno di un più vasto movimento a cavallo tra pop e dance, con molti riferimenti al soul. La band britannica ebbe quindi un momento di grande successo nel 1987. Fu in quell’anno che i due singoli Breakout e Surrender scossero il mercato discografico, attirando sul gruppo l’interesse di una vasta platea di appassionati, probabilmente gli stessi che seguivano Duran Duran, Spandau Ballet, Culture Club e Level 42. Il gruppo era concepito come un progetto da sviluppare prevalentemente in studio di registrazione: non a caso infatti pubblicarono un paio di album prima che si decidessero a presentare la loro musica dal vivo. Un live come questo At The Jazz Cafè è quindi ancora più sorprendente, se si ripensa alle origini stesse degli Swing Out Sister, e tuttavia risulta essere incredibilmente riuscito ed anche per certi versi inaspettato. In questa registrazione effettuata dal vivo nel 1993, nel mitico locale londinese, possiamo cogliere la band in una fase immediatamente successiva a quella dei grandi successi commerciali. Qui il gruppo si spoglia degli arrangiamenti patinati, ricchi di synth, eleganti ed un po’ freddi che hanno contraddistinto le loro prime pubblicazioni e lascia finalmente trasparire una vena molto più black e soul, oltre che una energia ed un vigore inediti. Chiunque abbia conosciuto ed apprezzato i primi Swing Out Sister si ritroverà al cospetto di un gruppo completamente diverso, permeato di un groove ricchissimo di sfumature funky ed acid jazz. Nulla viene tolto al tipico songwriting della band, nel quale la nota e delineata influenza del soft rock e del pop mantiene viva la sua presenza. Ma questo album va decisamente oltre: aggiunge qualcosa in più, combinando quelle sonorità con una vibrante anima anni '70 e un suono nettamente più vivace. Ne risulta una combinazione molto bella, in grado di ricreare una musica energetica e stimolante. Il fantastico concerto di quella notte dimostra come gli Swing Out Sister fossero perfettamente sintonizzati sia sul pop più sofisticato che sull’acid jazz, confermando come il gruppo riuscisse a ben interpretare il primo e contemporaneamente a cavalcare al meglio le tendenze di quel momento, battendo forte sul secondo. Tutte le canzoni presentano degli interessanti assoli strumentali e la band si trova a suo agio nel migliorare proprio dal vivo i suoi grandi successi di studio come "Breakout" e "Am I the Same Girl". La stessa cantante Corinne Drewery regala un’esibizione di ottimo livello, smentendo con i fatti chi sosteneva che fosse adatta solo alla registrazione di album in studio e non ai concerti. In effetti Corinne è una vocalist molto migliore di quanto le sia stato riconosciuto e va detto che gli arrangiamenti di questo live set mettono in risalto la sua voce maggiormente che non l’ambito discografico. Il momento più alto della serata è senza dubbio lo strepitoso medley Who Let The Love Out / Expansions / Coney Island Man / Wives & Lovers: è qui che il gruppo sorprende gli ascoltatori con 10 minuti e mezzo di puro groove. La base è il bellissimo brano di Lonnie Liston Smith “Expansions” sul quale viene costruito magistralmente tutto il mix di canzoni. Ritmo, giro di basso e arrangiamento sono accattivanti e davvero irresistibili. Non mancano ovviamente Surrender, Breakout e Twilight World, ovvero i più grandi successi internazionali degli Swing Out Sister. L’album ci permette di gustarceli in una veste nuova, più corposa, più calda. Non sempre i dischi live producono risultati degni di nota, ma in questo caso si può dire esattamente il contrario. At The Jazz Cafè è una bellissima sorpresa il cui ascolto farà riscoprire gli Swing Out Sister a 360 gradi. Tutti coloro che ne avevano in passato apprezzato la musicalità ne saranno felici,  ma sarà anche una vera rivelazione per tutti quelli che precedentemente avevano snobbato questo gruppo bollandolo come un fenomeno più glamour che di sostanza. Di fatto la band, dopo essersi resa conto di quanto fosse riuscito ed indovinato il sound scaturito da questa serata al Jazz Cafè,  decise di utilizzare lo stesso tipo di sonorità e strumentazione anche nelle successive registrazioni in studio. L’album è stato pubblicato in Giappone e non è di facile reperibilità: ma trovarlo ne varrà la pena e giustificherà la spesa.

Geoff Alpert – Open Your Heart


Geoff Alpert – Open Your Heart

Colpevolmente in ritardo, a due anni dalla sua pubblicazione, eccomi ad ascoltare e proporvi una delle più sorprendenti rivelazioni musicali degli ultimi tempi. Un album composto da 10 brani davvero molto, molto piacevoli. L’autore e solista è il trombonista, compositore, arrangiatore e band leader Geoff Alpert. Open Your Heart è incredibilmente il suo debutto discografico, e vista la qualità della musica che questo musicista esprime in queste tracce, stupisce che non abbia già registrato qualcosa precedentemente. Al progetto collabora la brava tastierista Gail Jhonson ed il trombonista ha coinvolto qui anche un gruppo di amici strumentisti, con i quali Geoff aveva già lavorato negli anni passati. Per alcuni di questi, Open Your Heart è la prima occasione di registrare materiale discografico in 38 anni di collaborazioni. L’album è un vero e proprio banchetto di gustosi bocconcini musicali, una dinamica carrellata di brani dal sapore funk e acid jazz, molto raffinati e arrangiati benissimo. Tutto prende il via nel migliore dei modi con l'eccezionale cover di "Heartbreak Hotel" di Michael Jackson. Emilio Castilio e i suoi amici Tower Of Power sarebbero orgogliosi del risultato. Alpert possiede un sound molto pastoso e fluido che esalta la timbrica sempre calda e gradevole del trombone. Il ritmo rallenta con "Don't Ask My Neighbors" di Skip Scarborough, un brano composto negli anni ‘70 per il gruppo vocale femminile The Emotions. Qui, Geoff sembra citare il collega trombonista Raul de Souza, che fu il primo strumentista a proporre la canzone nel 1978, con la fine produzione di George Duke. L'assolo di Geoff è a dir poco delizioso. Le eleganti voci di supporto di Tamina Khyrah Joi, Aankah Neal e Maya Thomas aggiungono un grande valore al pezzo. Ma bisogna sottolineare che ogni musicista da il suo apprezzabile contributo e così non è difficile notare la notevole linea di basso di Darryl Williams su "Zen Funk". Il tutto prende un sapore che ricorda a tratti la musica di Dave Grusin. Questa traccia, scritta da Geoff e Gail Jhonson, è dedicata al Ken Ka Kung Fu Club, la scuola di arti marziali di cui Geoff è stato allievo ed è attualmente insegnante. L'impressionante sezione ritmica è così coinvolgente da giustificare da sola l’ascolto dell’intero lavoro. I musicisti che animano la band sono Darryl Williams al basso, Adam Hawley alla chitarra, Greg Manning alle tastiere e Tony Moore alla batteria e alle percussioni. La sezione fiati di questo disco è oltremodo scintillante, potente e sofisticata come è lecito chiedere ad un album votato alle sonorità dell’acid jazz. Mitch Manker alla tromba, flicorno ed E.V.I. , Steve Nieves al sax alto, soprano e tenore, e Micheal Parlett al sax baritono, flauto e naturalmente il bravo Geoff Alpert che suona il trombone. Sono lo stesso Alpert e la Jhonson ad aver prodotto l'album: il risultato è molto gratificante. Geoff Alpert è stato ispirato da artisti del calibro della leggenda del jazz J.J. Johnson, dai Chicago e dal loro trombonista James Pankow e da alcuni paladini della fusion come Wayne Henderson e Raul de Souza. Una curiosità su Geoff è che pur avendo studiato musica alla San Diego State University e poi avendo suonato in gioventù in varie band e molti contesti, ha abbandonato le scene per circa 30 anni (dai primi anni '80) per diventare marito e padre. Dopo la dolorosa scomparsa di sua moglie nel 2002, Geoff riprese di nuovo il suo trombone, tornando a pieno regime in attività e fu in quel momento che incontrò il bassista Darryl Williams e la produttrice e tastierista Gail Jhonson. Sono stati loro due a spingere e ad aiutare Alpert a ritornare sulle scene con un album che parlasse della sua storia di vita, della sua immortale passione per la musica e per quella non meno importante per le arti marziali orientali. E’ così che troviamo un toccante trombone e un bel duetto di tastiere sulla ballata "Thinking About You", in memoria della moglie di Geoff. L’abilità tecnica deI bravo Alpert e la sua timbrica ricordano certamente il magnifico Wayne Henderson: un esempio perfetto è ascoltabile nella bellissima "Aloha Nights". L’album si avvale tra l’altro della presenza di un super ospite come Michael Paulo al sax contralto. Se amate il sound dei Crusaders e vi piaceva il trombone di Wayne Henderson potrete averne un saggio nel brano "The Crusade" che suona come un vero e proprio tributo alla grandissima band di Joe Sample e compagni. Le abilità pianistiche di Gail Jhonson si palesano alla grande su The Crusade che vanta un refrain molto orecchiabile. "Open Your Heart", colloca il trombone al centro del progetto, cosa piuttosto rara nel panorama musicale attuale. Fluttuando tra jazz, pop, r'n’b, funk ed accenni di sonorità latine, ma con un filo conduttore che è, a tutti gli effetti, di natura acid jazz, questo è un disco che propone un ascolto molto rilassato ed accessibile, ma al contempo energetico e sofisticato. E’ senza dubbio un eccellente album di debutto che tuttavia suona più come l’opera matura di un artista al suo quinto o sesto lavoro piuttosto che un primo sforzo da solista. A me è piaciuto molto, perciò lo consiglio caldamente.

Spyro Gyra – Vinyl Tap


Spyro Gyra – Vinyl Tap

Esistono, anche nell’ambito della fusion dei gruppi “icona”, dei veri e propri miti inossidabili che attraversando le decadi sono partiti dagli anni ’70 e sono ancora attivi al giorno d’oggi. Gli Spyro Gyra sono esattamente l’esempio di questo genere di band: un collettivo di musicisti sulla piazza da molto tempo, in effetti dalla metà degli anni ’70 e ancora  vitali e creativi all’inizio del 2020 come e meglio dei primi tempi. Vinyl Tap è addirittura il loro 31° album, ed è uscito da pochissimo. Semmai ce ne fosse bisogno questa è la dimostrazione che ogni illazione sul fatto che una band come questa fosse un fuoco di paglia o mancasse di longevità era a dir poco infondata. Dieci milioni di dischi venduti sono numeri impressionanti per una band jazz, ma va anche detto che ovviamente gli Spyro Gyra non si possono considerare jazz al 100%. Di fatto sono conosciuti principalmente come una gruppo di fusion che combina elementi del jazz con l’R&B, il funk e il pop. Nel corso degli anni la loro formazione ha subito moltissimi cambiamenti, ma il co-fondatore e sassofonista Jay Beckenstein è ancora in sella, così come il tastierista Tom Schuman. Morning Dance è stato il loro più grande successo nel quale, per inciso, comparivano sia Michael che Randy Brecker. Il successo commerciale degli Spyro Gyra continuò negli anni '80 con gli album Catching The Sun e Carnaval, i quali diventarono dischi d'oro: un evento che per il genere suonato non è proprio un traguardo da poco. Nonostante i cambi di formazione, la produzione discografica non cessò mai, e le pubblicazioni continuarono lungo tutti gli anni ’80 e ’90, così come le tournè in ogni parte del mando. Fu però solo nel 2006 che il loro album Wrapped In A Dream venne nominato per un Grammy Award. La formula non cambiò mai nel corso degli anni, e gli Spyro Gyra continuarono imperterriti a proporre la loro fusion dinamica e vigorosa, basata sulla bravura tecnica dei musicisti e su di una vena compositiva mai sopita. Semmai l’appunto che si poteva fare riguardo ai loro dischi era relativamente ad una certa ripetitività nel sound e negli arrangiamenti. Ma si sa, un marchio di fabbrica è tale quando si è coerenti con se stessi e in fondo “squadra che vince non si tocca”. Tornando a Vinyl Tap, cioè questo loro ultimo lavoro, c’è una cosa che attira subito l’attenzione: la palpabile diversità di questo album. Infatti non contiene alcun tipo di materiale originale della band. E’ costruito invece su nove cover di brani famosi  di grandi artisti del panorama internazionale. Tra i quali Sunshine Of Your Love dei Cream, What A Fool Believes di Michael McDonald e Kenny Loggins, I can't find my way home di Steve Winwood e Hide your love away di Lennon & McCartney, per citarne alcuni. Detto che questo non è certo il Great American Songbook, da cui i jazzisti sono soliti catturare le loro cover, la raccolta è però un omaggio a delle canzoni che rivestono una certa importanza per la band. Il tutto è arrangiato in modo tale che i brani suonino come qualcosa di nuovo rispetto agli originali e abbiano comunque un feeling marcato con lo stile degli Spyro Gyra. Se all’inizio si può essere un pò scettici (e pare lo fosse anche la band stessa,) principalmente per il timore di suonare tristemente come una "wedding band", all’atto pratico il risultato è molto stimolante e soddisfacente. Addirittura gli Spyro Gyra sembrano trarre nuove energie ed interessanti spunti dal confronto con un materiale non composto direttamente da loro. Per qualche recondita ragione reinterpretare i vecchi standard non è visto quasi mai come un problema per una band o un artista jazz, ma la prospettiva cambia in negativo se ciò viene fatto con le canzoni scritte dagli anni '70 in poi. Sicuramente si applicano gli stessi principi: le buone canzoni sono buone canzoni e questo a prescindere dall’epoca nelle quali vengono composte. L’unicità e la qualità della musica scritta da altri (qualunque sia il genere) è dunque assolutamente accettabile, senza riserve. Va da sé che la musicalità deve essere di grande livello, diciamo di una qualità superiore. Dato che personalmente ho sempre apprezzato gli Spyro Gyra, mi fa molto piacere poter affermare che tutti questi elementi sono presenti in questo album ed il risultato finale è qualcosa di davvero straordinario. Prima di tutto perché finalmente il jazz è entrato in modo più evidente nel loro modo di suonare e poi perché dopo 30 album qui si ascolta il gruppo in un modo totalmente nuovo. Questi esperti musicisti, Jay Beckenstein in testa, non hanno solo il groove del funky nel loro dna ma dimostrano di avere lo swing giusto per toccare anche le corde del jazz. Ascoltate a proposito il brano d’apertura: Secret Agent Mash. Non mancano le sonorità tipiche della band che tanto hanno catturato l’attenzione negli anni passati, ma qui c’è anche altro: il blues, il rock, il soul. Insomma è un album variegato e dinamico che attraversa gli stili e rilancia gli Spyro Gyra in questa decade. Buone notizie per i fan. Al momento è uno dei miei album preferiti, a testimonianza del fatto che questo progetto ha attirato la mia attenzione e, almeno a livello personale mi pare davvero un lavoro che funziona.