Bob James - Expresso


Bob James - Expresso

Potrebbe essere interessante porsi una domanda in ambito jazzistico. Quale pianista viene in mente tra quelli che registrarono i primi album all’inizio degli anni ‘60 che abbia continuato ad avere un'influenza significativa sulla musica contemporanea nei decenni a seguire? Se la risposta che vi è venuta di getto è "Herbie Hancock" avreste colto nel segno, indubbiamente. Ma, ugualmente, se la risposta al quesito è stata “Bob James” non avreste sicuramente sbagliato. Prima di tutto, come Hancock, anche Bob James è ancora una parte attiva ed importante nel panorama jazzistico mondiale. E, sia pure con stili ed approcci differenti, è anche lui un musicista che ha esplorato e sperimentato molti generi nel corso di una lunga e brillante carriera. Bob James ha sempre avuto uno stile pianistico ben definito sia quando ha utilizzato il piano acustico sia quando si è approcciato alle tastiere elettriche, con una particolare predilezione per il Rhodes. Il suo periodo con la CTI, a metà degli anni ’70 ha prodotto album memorabili, opere innovative che hanno avuto il supporto di grandi musicisti a quel tempo giovani quali Grover Washington, Jr., Idris Muhammad, Eric Gale, Ralph MacDonald. In seguito la collaborazione con David Sanborn, Marcus Miller e Nathan East è stata tanto prolifica quanto interessante ed è valsa all’ormai 79enne pianista la fama (meritata) di essere uno dei padri dello smooth jazz. In effetti Bob James ha giocato un importante ruolo nell'affermazione di quella musica contaminata da fonti più leggere ma pur sempre radicata nella cultura jazzistica. Pensiamo solo al supergruppo Fourplay, giusto per fare un esempio recente. Il nuovo album di Bob si intitola Espresso ed è freschissimo di pubblicazione: segna anche il ritorno di James come leader dai tempi ormai lontani di Urban Flamingo (2006). Il disco è in qualche misura un salto indietro allo stile col quale aveva iniziato, configurandosi come un trio di pianoforte con alcuni nuovi brani originali e qualche cover di brani vecchi, analogamente a ciò che aveva fatto in Bold Conceptions, del 1962. E’ indubbiamente un Bob James nostalgico, che però pone dei limiti ben precisi al suo ritorno al passato. Infatti la scelta dei suoi accompagnatori rispecchia un gusto moderno e dinamico: Billy Kilson (batteria) e il giovane e promettente Michael Palazzolo (basso acustico) sono il cuore pulsante di questo suo ultimo trio. Non è la prima volta che James torna alle sue radici jazz (ad esempio lo fece con Straight Up e Take It From The Top) tuttavia lui è da sempre meglio conosciuto quale paladino del jazz contemporaneo e dunque il suo ripercorrere le strade della tradizione è un evento molto gradito e significativo. Il feeling con i due inediti accompagnatori è nato dopo una serie di concerti al Blue Note Club di New York, cosa che ha convinto il maestro ad utilizzare il medesimo line up anche in Espresso. "Bulgogi" è il brano d’apertura: l’interplay del trio appare subito eccellente e non può sfuggire la sottile e sofisticata performance di Kilson alla batteria. Da par suo il pianista mostra un tocco fluido, preciso e raffinato, di chiara estrazione bop. Il primo segnale di una certa vicinanza con uno stile più contemporaneo arriva con la seconda traccia inititolata "Shadow Dance". Qui sia la ritmica che lo stesso pianoforte di James suonano più smooth, ma certamente non così tanto da allontanare i puristi del jazz. Se ci si concentra invece sulla melodia si capisce ben presto che il brano possiede molta più profondità della maggior parte del jazz contemporaneo: si riconosce bene la scrittura tipica di Bob James. Le abilità compositive di James sono molto più complesse e ponderate di quanto gli venga accreditato: alla soglie degli 80 anni il maestro non ha perso le proprie notevoli abilità. Quanto detto è valido anche per un pezzo come "Mojito Ride". "One Afternoon" rappresenta una pausa dal formato del trio che colloca il pianoforte di James al cospetto di un’orchestra: è un intermezzo più classico che jazz e presenta Angela Scates all’oboe. Troviamo un feeling un po' più funk nella ritmata "Topside" che ricorda la musica degli anni ’70  e ci permette di ascoltare James impegnato con il sintetizzatore e il piano elettrico. "Boss Lady" avrebbe potuto essere uno dei brani più morbidi dell'album, ma Palazzolo e Kilson fanno sì che ciò non accada, grazie ad una dinamica muscolarità che lo spinge ad essere uno dei numeri più forti di Espresso. "Ain’t Misbehavin" di Fats Waller viene proposta come una rispettosa cover di un pezzo di jazz tradizionale: è swing quanto basta, brillantemente vivace e risulta alla fine un piacevole ascolto. Ci sono poi due canzoni che probabilmente rappresentano alla perfezione il senso di continuità creativa che lega il Bob James di oggi a quello di oltre 40 anni fa: sono Mr. Magic e Submarine. La prima fu un grande successo di Grover Washington nel 1975. Guarda caso  come arrangiatore e tastierista di quel bellissimo disco c’era proprio Bob James. In questa versione contemporanea ritroviamo la canzone di Ralph MacDonald e William Salter con un nuovo giro di basso e batteria, perfetto per mettere in risalto la versatilità e la bravura del duo Kilson / Palazzolo. La seconda, "Submarine", è un aggiornamento del classico del 1974 intitolato "Nautilus", presente sul primo disco dell’era CTI, una delle più belle composizioni di James. E’ fuor di dubbio che questo sia il pezzo più vicino alla musica degli anni '70. Tuttavia la lettura è ironica, con Bob James che assimila i suoni dell’hip hop così come gli artisti hip-hop hanno spesso incorporato "Nautilus" nella loro musica. Espresso non è un album che si arrocca dietro il classico schema del trio acustico piano / basso / batteria, fossilizzandosi su una singola corrente del jazz: tra tradizionalismo e progressismo, Bob James non ha mai scelto con snobismo intellettuale una sola tra queste due forme espressive. Di fatto la sua musica migliore arriva proprio quando riesce a percorrere con raffinatezza e leggerezza entrambe le strade. Unendole con perizia, come ha fatto spesso in passato e come, mirabilmente, continua a fare qui sul suo ultimo album. Lunga vita al maestro Bob James.