Soulstance - Electronic Chamber Jazz


Soulstance - Electronic Chamber Jazz

I fratelli Enzo e Gianni Lo Greco sono due musicisti ben noti sulla scena musicale italiana ed internazionale. Baresi come Nicola Conte e Paolo Achenza, appartengono a quella nouvelle vague con base nel capoluogo pugliese che alla fine degli anni ’90 si è distinta come una delle più creative ed interessanti proposte musicali acid jazz, nu jazz e nu bossa. Il loro successo si deve principalmente ai progetti ed alle diverse produzioni che li hanno visti protagonisti e conosciute con svariati nomi: Quintetto Lo Greco, Quintetto X e soprattutto Soulstance. Soulstance è in pratica un duo formato dai due fratelli con l’aggiunta di alcuni collaboratori e ciò che propone è una brillante evoluzione della classica miscela di jazz , bossa, lounge ed elettronica tanto cara alle dinamiche delle loro etichette discografiche: la Schema Records e la Irma Records. Enzo Lo Greco suona il contrabbasso, il flauto, il piano, la chitarra, oltre a essere programmatore, compositore e arrangiatore. Le sue numerose collaborazioni con varie formazioni jazz, sia live che "in studio" gli garantiscono un'esperienza eccezionale, che ha plasmato la sua personalità di 'virtuoso' e di compositore e ricercatore di nuovi suoni. Gianni Lo Greco suona batteria e percussioni, compone e arrangia. La sua caratteristica distintiva è senza dubbio il suo vibrante stile alla batteria, molto personale anche quando si parla d’improvvisazione. Gianni possiede un drive batteristico pieno di swing che sa essere al contempo naturale e colpisce in particolare la sua padronanza dei ritmi africano-cubani e latino-americani. Cresciuti ed evolutisi artisticamente nel mezzo di una scena musicale estremamente creativa e fortemente innovativa come quella barese, i fratelli Lo Greco si ispirano alla musica dei grandi musicisti del passato attingendo alle loro grandi passioni come la bossa nova e il cool jazz. Dopo alcune precedenti pubblicazioni, con il nuovo album i Lo Greco coronano il loro sogno traendo il massimo risultato da un grande ed attento lavoro di composizione e arrangiamento. L'organico e la scrittura fanno chiaro riferimento alle sonorità sognanti dei paesaggi nordici e alle visioni oniriche di matrice jazzistica ricche di atmosfere, di tappeti e tessiture sonore che cesellano le immagini quasi come se fossero un racconto cinematico o pittorico.  Già in passato i Lo Greco Bros hanno contaminato i suoni della loro produzione con un mix di generi apparentemente diversi ma in verità molto ricchi di elementi comuni come l’improvvisazione e la psichedelia, il tutto viene arricchito da una stimolante dose di energia, tipica della loro sezione ritmica. “Electronic Chamber Jazz” si apre ad un largo ventaglio di commistioni che, come prevedibile, vanno dal jazz al funk fino alla lounge music con inserti elettronici e più in generale con uno sguardo aperto davvero a 360 gradi sulla musica. Il loro interessante approccio, che ha comunque il pregio di essere molto originale, ricorda sia quello di Kamasi Washington sia il sound rivoluzionario del new british jazz di Shabaka Hutchings e Binker and Moses. C’è poi sempre viva e presente la fusione con le sonorità elettroniche, che ha le sue radici lontane in autori ed artisti importanti come ad esempio quelli della famosa etichetta tedesca E C M: Kenny Wheeler, Jan Garbarek, Eberhard Weber, Michael Brecker, Claus Ogermann, Vincent Mendoza o Michel Colombier. Un patrimonio quello della ECM troppo a lungo dimenticato ma che recentemente è tornato ad essere oggetto di culto e che anche un maestro come Nicola Conte ha deciso di rivisitare. Quello dei Soulstance è un progetto che vuole essere molto ambizioso e si pone in un contesto musicale all'avanguardia come è giusto che sia per compositori e musicisti di lungo corso come sono di fatto i fratelli LoGreco. Il valore artistico dei musicisti che hanno collaborato al progetto danno una grande forza alle esecuzioni ed infondono creatività ad ogni brano, risultando contributi preziosissimi ed indispensabili. L’intelligente e colta musica di Electronic Chamber Jazz scorre fluida ed intrigante per tutta la lunghezza dell’album, proponendosi all’ascoltatore con il raro pregio di essere sempre stimolante ed interessante, senza mai risultare troppo pesante o cervellotica. Una menzione particolare meritano i brani Orbit, Waiting For The Sun, Zoom, Atlantis e la conclusiva Song For Narcisus. Con il nuovo capitolo del progetto Soulstance, i LoGreco Bros. aggiungono un ulteriore tassello alla loro prestigiosa carriera. Siamo di fronte ad un coraggioso ed aperto mix di jazz classico e suoni contemporanei combinati insieme nel migliore dei modi: con gusto, equilibrio e classe. Eccellente.

Bob James - Expresso


Bob James - Expresso

Potrebbe essere interessante porsi una domanda in ambito jazzistico. Quale pianista viene in mente tra quelli che registrarono i primi album all’inizio degli anni ‘60 che abbia continuato ad avere un'influenza significativa sulla musica contemporanea nei decenni a seguire? Se la risposta che vi è venuta di getto è "Herbie Hancock" avreste colto nel segno, indubbiamente. Ma, ugualmente, se la risposta al quesito è stata “Bob James” non avreste sicuramente sbagliato. Prima di tutto, come Hancock, anche Bob James è ancora una parte attiva ed importante nel panorama jazzistico mondiale. E, sia pure con stili ed approcci differenti, è anche lui un musicista che ha esplorato e sperimentato molti generi nel corso di una lunga e brillante carriera. Bob James ha sempre avuto uno stile pianistico ben definito sia quando ha utilizzato il piano acustico sia quando si è approcciato alle tastiere elettriche, con una particolare predilezione per il Rhodes. Il suo periodo con la CTI, a metà degli anni ’70 ha prodotto album memorabili, opere innovative che hanno avuto il supporto di grandi musicisti a quel tempo giovani quali Grover Washington, Jr., Idris Muhammad, Eric Gale, Ralph MacDonald. In seguito la collaborazione con David Sanborn, Marcus Miller e Nathan East è stata tanto prolifica quanto interessante ed è valsa all’ormai 79enne pianista la fama (meritata) di essere uno dei padri dello smooth jazz. In effetti Bob James ha giocato un importante ruolo nell'affermazione di quella musica contaminata da fonti più leggere ma pur sempre radicata nella cultura jazzistica. Pensiamo solo al supergruppo Fourplay, giusto per fare un esempio recente. Il nuovo album di Bob si intitola Espresso ed è freschissimo di pubblicazione: segna anche il ritorno di James come leader dai tempi ormai lontani di Urban Flamingo (2006). Il disco è in qualche misura un salto indietro allo stile col quale aveva iniziato, configurandosi come un trio di pianoforte con alcuni nuovi brani originali e qualche cover di brani vecchi, analogamente a ciò che aveva fatto in Bold Conceptions, del 1962. E’ indubbiamente un Bob James nostalgico, che però pone dei limiti ben precisi al suo ritorno al passato. Infatti la scelta dei suoi accompagnatori rispecchia un gusto moderno e dinamico: Billy Kilson (batteria) e il giovane e promettente Michael Palazzolo (basso acustico) sono il cuore pulsante di questo suo ultimo trio. Non è la prima volta che James torna alle sue radici jazz (ad esempio lo fece con Straight Up e Take It From The Top) tuttavia lui è da sempre meglio conosciuto quale paladino del jazz contemporaneo e dunque il suo ripercorrere le strade della tradizione è un evento molto gradito e significativo. Il feeling con i due inediti accompagnatori è nato dopo una serie di concerti al Blue Note Club di New York, cosa che ha convinto il maestro ad utilizzare il medesimo line up anche in Espresso. "Bulgogi" è il brano d’apertura: l’interplay del trio appare subito eccellente e non può sfuggire la sottile e sofisticata performance di Kilson alla batteria. Da par suo il pianista mostra un tocco fluido, preciso e raffinato, di chiara estrazione bop. Il primo segnale di una certa vicinanza con uno stile più contemporaneo arriva con la seconda traccia inititolata "Shadow Dance". Qui sia la ritmica che lo stesso pianoforte di James suonano più smooth, ma certamente non così tanto da allontanare i puristi del jazz. Se ci si concentra invece sulla melodia si capisce ben presto che il brano possiede molta più profondità della maggior parte del jazz contemporaneo: si riconosce bene la scrittura tipica di Bob James. Le abilità compositive di James sono molto più complesse e ponderate di quanto gli venga accreditato: alla soglie degli 80 anni il maestro non ha perso le proprie notevoli abilità. Quanto detto è valido anche per un pezzo come "Mojito Ride". "One Afternoon" rappresenta una pausa dal formato del trio che colloca il pianoforte di James al cospetto di un’orchestra: è un intermezzo più classico che jazz e presenta Angela Scates all’oboe. Troviamo un feeling un po' più funk nella ritmata "Topside" che ricorda la musica degli anni ’70  e ci permette di ascoltare James impegnato con il sintetizzatore e il piano elettrico. "Boss Lady" avrebbe potuto essere uno dei brani più morbidi dell'album, ma Palazzolo e Kilson fanno sì che ciò non accada, grazie ad una dinamica muscolarità che lo spinge ad essere uno dei numeri più forti di Espresso. "Ain’t Misbehavin" di Fats Waller viene proposta come una rispettosa cover di un pezzo di jazz tradizionale: è swing quanto basta, brillantemente vivace e risulta alla fine un piacevole ascolto. Ci sono poi due canzoni che probabilmente rappresentano alla perfezione il senso di continuità creativa che lega il Bob James di oggi a quello di oltre 40 anni fa: sono Mr. Magic e Submarine. La prima fu un grande successo di Grover Washington nel 1975. Guarda caso  come arrangiatore e tastierista di quel bellissimo disco c’era proprio Bob James. In questa versione contemporanea ritroviamo la canzone di Ralph MacDonald e William Salter con un nuovo giro di basso e batteria, perfetto per mettere in risalto la versatilità e la bravura del duo Kilson / Palazzolo. La seconda, "Submarine", è un aggiornamento del classico del 1974 intitolato "Nautilus", presente sul primo disco dell’era CTI, una delle più belle composizioni di James. E’ fuor di dubbio che questo sia il pezzo più vicino alla musica degli anni '70. Tuttavia la lettura è ironica, con Bob James che assimila i suoni dell’hip hop così come gli artisti hip-hop hanno spesso incorporato "Nautilus" nella loro musica. Espresso non è un album che si arrocca dietro il classico schema del trio acustico piano / basso / batteria, fossilizzandosi su una singola corrente del jazz: tra tradizionalismo e progressismo, Bob James non ha mai scelto con snobismo intellettuale una sola tra queste due forme espressive. Di fatto la sua musica migliore arriva proprio quando riesce a percorrere con raffinatezza e leggerezza entrambe le strade. Unendole con perizia, come ha fatto spesso in passato e come, mirabilmente, continua a fare qui sul suo ultimo album. Lunga vita al maestro Bob James.

John Coltrane - Both Directions At Once: The Lost Album


John Coltrane - Both Directions At Once: The Lost Album

Può, nel 2018, un album di jazz classico, impegnativo e colto raggiungere la vetta delle classifiche di vendita rivaleggiando per quanto possibile con la musica trash alla quale il presente ci ha abituato? La risposta sta nel successo tanto imprevisto quanto consistente che una registrazione inedita di John Coltrane, risalente a 55 anni fa, sta ottenendo in tutto il mondo. Era il 6 marzo del 1963, quando il geniale John Coltrane e il suo stellare quartetto con McCoy Tyner, Jimmy Garrison ed Elvin Jones entrarono presso gli studi Van Gelder con l’impegno di registrare un album, come avevano fatto tante altre volte. Un album che però era detinato ad andare perduto per essere solo recentemente ritrovato. La spiegazione sul perché ci siano voluti cinquantacinque anni prima che questo “Santo Graal” del jazz fosse messo a disposizione degli appassionati sta tutta nella sua particolare genesi. La prima settimana di marzo del 1963 fu particolarmente densa di impegni per John Coltrane. Era nel bel mezzo di una maratona di due settimane al Birdland e si preparava a registrare il famoso album con Johnny Hartman, cosa che fece il 7 marzo. Ma ci fu una seduta di registrazione il giorno prima che fino ad ora sapeva di leggenda, dato che mai aveva visto la luce. Come accennato dunque, mercoledì 6 marzo, Coltrane e il suo quartetto si trasferirono al Van Gelder Studios a Englewood, nel New Jersey e registrarono materiale per un album completo, incluse diverse composizioni originali mai proposte altrove. La giornata trascorse tra varie prove, registrazioni, tagli, alternative takes. Alla fine del consueto lavoro, Coltrane lasciò gli studi di registrazione portando con se dei nastri che finirono nella sua casa nel Queens, dove viveva con sua moglie Naima. Sono proprio quei nastri, che sono rimasti intatti per tutto questo tempo, che l’etichetta Impulse! ha deciso di andare a cercare e tramandare ai posteri. Dopo aver contattato la famiglia di Coltrane, l’operazione discografica ha preso corpo e finalmente nel 2018 è arrivata la pubblicazione di Both Directions At Once: The Lost Album, che ci dà l’opportunità di ascoltare un altro capolavoro del genio di Hamlet, finora sconosciuto a tutti. In questo album ci sono due originali completamente inediti e mai ascoltati prima. Untitled Original 11383 e Untitled Original 11386, entrambi suonati con il sassofono soprano. Oltre ai due inediti, troviamo One Up, One Down,  pubblicato in precedenza solo su un bootleg live presso il Birdland,  che qui si ascolta per la prima volta in una registrazione in studio. Tra le altre rarità, una registrazione particolarissima perché priva della parte di pianoforte di Impressions. Questa sessione in studio è caratterizzata anche dalla prima registrazione di Coltrane di un brano come Nature Boy, che avrebbe poi inciso nuovamente solo nel 1965: da notare che le due versioni differiscono notevolmente. L’altra composizione non originale dell’album è Vilia, tratta dall’operetta di Franz Lehár  “La vedova allegra”. Anche questa è una novità nel repertorio del maestro ed in ultima analisi è anche motivo di curiosità, in particolare dopo aver preso atto che il quartetto la fa suonare come una ballad jazz, molto lontana dalle atmosfere classiche. Dall'aprile del 1962 al settembre del 1965, mentre era sotto contratto con l'etichetta Impulse!, John Coltrane lavorò quasi sempre con gli stessi musicisti. Dopo la sua morte, prematuramente avvenuta nel 1967, questo gruppo formato da Coltrane al sassofono tenore e soprano, McCoy Tyner al piano, Jimmy Garrison al basso ed Elvin Jones alla batteria  divenne noto come il "classico quartetto". Il gruppo era potente, elegante e estremamente profondo. Era anche equilibrato, creativo ed innovativo come raramente è capitato nella storia del jazz. John era un artista con grandi ambizioni, con una visione chiara e futurista e con uno slancio musicale fuori dal comune. E’ il periodo nel quale puoi percepire nel quartetto una convinzione ed una integrità artistica assolutamente straordinaria: in quegli anni uscirono dalla mente di Coltrane alcuni dei pezzi più famosi della band, come lo spirituale ed onirico A Love Supreme, registrato alla fine del 1964. Il quartetto si muove meravigliosamente tra ballate, blues ed il grande songbook americano con un’astrazione ed un inventiva assolutamente prodigiose. Troppo ghiotta ed inattesa la scoperta di questa registrazione del 1963 per darla definitivamente per perduta.  È difficile immaginare che avrebbe potuto essere ignorata o dimenticata per sempre. La musica di The Lost Album non sembra, nel suo contesto, un vero passo avanti rispetto a ciò che l’artista stava sperimentando in quel momento: Coltrane  lavorava sull’improvvisazione come punto di partenza centrale, muovendosi avanti e indietro simultaneamente attorno alla melodia, ma sempre con rigore ed equilibrio ed un grande rispetto per le precedenti esperienze del jazz. Fin dalla registrazione di "My Favourite Things" nel 1961, che fu un successo, considerando che si trattava di jazz non proprio facile, Coltrane era diventato riconoscibile e famoso. Il suo successivo rapporto di lavoro con Bob Thiele, il boss della Impulse!, era basato sull’idea che lui dovesse e potesse espandere il suo pubblico, non certo ridurlo. Sei mesi prima della sessione di questo album perduto, aveva registrato un disco con Duke Ellington; il giorno successivo ne avrebbe fatto un altro con il cantante Johnny Hartman. Era nel pieno di quel paradosso artistico che può vivere un artista popolare quando deve sforzarsi di ripetere un successo passato e cercare di non arenarsi su quanto proposto precedentemente. Ma il senso di forza e di inevitabilità che associamo alla musica di Coltrane non si era esaurito. Anzi quale prodotto della sua diligenza, dell’irrequietezza, delle sue ossessioni, del suo genio, la sua musica andava sempre più evolvendosi. In Both Directions At Once: The Lost Album c'è l'idea del "nuovo" e poi c'è qualcosa come Slow Blues o Impressions che trascendono il senso della novità, andando oltre. Sono usciti molti album dopo la morte di John Coltrane, spesso erano registrazioni dal vivo o comunque erano costruiti su del materiale già conosciuto. Nessun disco di Trane era mai emerso precedentemente dalle poveri di un armadio dimenticato, ne tantomeno ci aveva dato l’opportunità di ascoltare cose inedite del grande genio del sax. Fosse anche solo per questo The Lost Album avrebbe un valore incommensurabile. Ma qui c’è di più: c’è l’istantanea di un artista globale, di un uomo dalla visione musicale integra e futurista. E’ la testimonianza tangibile, fino ad oggi mancante, di uno dei più grandi musicisti della storia del jazz e non solo.