L'Image - 2.0


L'Image - 2.0

E’ certamente inusuale che un album esca molto tempo dopo la nascita del gruppo che lo ha concepito. Non è una cosa che capita spesso infatti che passino oltre 40 anni perché un debutto discografico veda la luce, ma nel caso di questo collettivo di formidabili musicisti jazz chiamato L'Image va sottolineato che mai come in questa circostanza vale il detto “non è mai troppo tardi”. Il gruppo L’Image fu fondato dal vibrafonista Mike Mainieri nei primi anni '70 e all’epoca suscitò un notevole interesse nel mondo del jazz, in particolare per i suoi coinvolgenti concerti dal vivo. Un’attenzione così concreta che, ad un certo punto, la registrazione del loro primo album sembrava cosa fatta. Purtroppo le cose andarono diversamente e le circostanze contingenti costrinsero di fatto la band a sciogliersi. I singoli componenti ebbero in verità tutti una luminosa carriera, ma purtroppo de L’Image non si seppe più nulla. Quarant’anni di oblio a cui pose fine nel 2008 lo stesso Mike Mainieri, che decise di riunire il gruppo. Inizialmente per un tour in Giappone e quindi per registrare finalmente 2.0: il primo, tanto atteso album de L’Image.  Non c’è dubbio che per gli appassionati di quel sofisticato jazz profumato di atmosfere fusion, sentori new age e qualche spruzzata di musica latina in stile Steps Ahead o Yellow Jackets, questo album rappresenta una eccellente opportunità. Qui troveranno di sicuro materiale con cui gustarsi una musica di alto livello tecnico e ottimi contenuti artistici. D’altronde basta leggere i nomi dei membri di quello che può definirsi a tutti gli effetti un super-gruppo per capire che ci troviamo al cospetto della crema del jazz mondiale contemporaneo: Mike Mainieri (Vibrafono); Warren Bernhardt (Tastiere); David Spinozza (Chitarre); Tony Levin (Basso); Steve Gadd (Batteria). E tuttavia non si può considerare nemmeno 2.0 alla stregua di un progetto  completamente vintage o retrò. Il gruppo è infatti perfettamente a fuoco anche nel presente e, pur rivisitando un paio di composizioni di Mainieri degli anni '70, il sound è moderno e piacevole per tutta la durata del disco. Mainieri è il deus ex machina de L’Image ed infatti firma in prima persona la metà degli otto brani dell’album, che fluttuano liquidi e scorrevoli a cavallo tra una gradita accessibilità ed una notevole e complessa profondità. 2.0 offre inoltre una rara occasione di ascoltare il poliedrico bassista Tony Levin tornare al jazz dopo le lunghe collaborazioni con Peter Gabriel e i King Crimson. Il suo basso profondo e suggestivo crea una solida base sulla quale si innestano da un lato il drumming sempre eccezionale e misurato di Steve Gadd, dall’altro trovano spazio il vibrafono, il piano e la chitarra a ricamare magnifiche trame impressioniste. Tutto molto bello e coinvolgente.  Ascoltare "Reunion" ad esempio, ci fa immergere in una traccia suggestiva dove la chitarra acustica di David Spinozza e il vibrafono di Mainieri si combinano in modo davvero elegante. Levin dimostra il suo talento, ribadendo che anni di progressive non hanno scalfito le sue matrici jazzistiche, ma semmai le hanno arrichhite. Lo stesso si può dire per il batterista Steve Gadd, la cui credenziali jazz sono ampiamente conosciute e apprezzate da almeno tre decenni, come evidente negli album di Chick Corea, di Larry Carlton o di Joe Farrell. Nonostante una carriera trascorsa in gran parte come session man per numerosi artisti pop e rock come Eric Clapton, Paul Simon e James Taylor Quartet, Steve resta impermeato del migliore spirito jazzistico. Il suo gruppo Stuff fu un'alternativa leggera ed accessibile alla fusion cerebrale e complessa del passato, eppure quello stesso groove rilassato ma preciso lo ritroviamo tutto su 2.0. Il tastierista Warren Bernhardt inietta la sua anima colta ed eterea in ogni tocco di tastiera come evidenziato dal brano "Praise", dove le delicate ma sofisticate atmosfere pianistiche sono poi animate dagli assoli di Mainieri e Spinozza. Per gli amanti di qualcosa di più muscolare c’è un pezzo funk come "Gadd-Ddagit!" che ci presenta l'assolo di pianoforte di Bernhardt più interessante del set, ed un inusuale David Spinozza in modalità Wes Montgomery. Brillano di luce propria sia Spinozza che Bernhardt su questo album 2,0, anche se è noto a tutti che le carriere di Tony Levin, Steve Gadd e Mike Mainieri hanno forse avuto una maggiore visibilità. Spinozza, in particolare, è una continua sorpresa ed è apprezzabilissimo anche il suo acume compositivo, almeno quanto il suo poliedrico stile chitarristico. "Does not She Know By Now?" e "Hidden Drive" ne sono la dimostrazione tangibile. Mike Mainieri rappresenta l’eccellenza del vibrafono contemporaneo ed in più ha dalla sua una notevole vena creativa. Oltre ad essere l’anima di questo gruppo, da lui fortemente voluto, è il collante armonico e melodico de L’Image. Quando i migliori musicisti si incontrano e mettono intelligentemente il loro ego in un angolo, lasciando all’interplay e all’affiatamento il compito di estrapolare il meglio di loro stessi i risultati non possono deludere L'Image è esattamente questo: un collettivo di cinque stelle del firmamento musicale che si sono (re)incontrati per dare vita ad un progetto interessante ed originale: di fatto nessuno di loro ha niente da dimostrare ma per contro ha certamente moltissimo da dire. Il risultato è eccellente, godibile e per di più tecnicamente ineccepibile anche dal punto di vista della registrazione.